Dalla forte diffidenza al riconoscimento di una significativa opportunità. Dopo un lustro di mediazione, al netto dell’interregno sancito dalla pronuncia n. 272 del 6 dicembre 2012 della Corte Costituzionale che ne segnò una battuta d’arresto, è già tempo di bilanci per quanto riguarda l’approccio all’istituto dei colleghi avvocati.
Fin dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 il mondo dell’Avvocatura ha purtroppo percepito la mediazione come un adempimento necessario ed obbligatorio, se non come un vero e proprio intralcio alla successiva azione giudiziale da proporre davanti alle sedi competenti. Sovente, in mediazione, l’atteggiamento dei legali delle parti assumeva carattere di distacco e talvolta di insolenza nei confronti del mediatore e più in generale dell’istituto della mediazione. E’ probabile che tali condotte siano state dettate anche dalla percezione, legittima ma profondamente errata, di una perdita di rilievo del legale nel corso del nuovo procedimento.
Nonostante il ruolo di primo piano inequivocabilmente assunto dalla parte, negli anni più recenti i legali hanno acquisito consapevolezza dell’importante funzione che svolgono intervenendo ai procedimenti di mediazione anche, ove necessario, al fine di chiarire i risvolti giuridici della controversia.
La presenza, durante la sessione congiunta, di entrambi i difensori delle parti sta risultando sempre più utile anche ai fini della creazione e del mantenimento di un clima sereno e di un atteggiamento collaborativo in modo da incanalare la discussione tra le parti entro i limiti di un proficuo scambio di informazioni volto all’individuazione dei problemi da affrontare. La “condotta” dei colleghi è dunque sensibilmente migliorata dopo la diffidenza iniziale ed i risultati dei procedimenti di mediazione sono lì a testimoniarlo.
Anche per quanto riguarda le sessioni private sta emergendo che l’avvocato può utilmente affiancare il proprio cliente rassicurandolo, in particolare, sulla riservatezza (sia verso l’esterno, sia nei confronti della controparte) delle dichiarazioni rese al mediatore nel corso di tali sessioni in modo che, essendo garantita una maggior libertà di espressione e di contenuti, la parte possa rendersi più disponibile a riferire al mediatore qualsiasi circostanza utile ai fini della soluzione della controversia. Significativa in tale prospettiva è senz’altro l’assistenza dell’avvocato, perché il legale è l’unico in possesso della preparazione tecnica necessaria a mettere in luce i punti di forza e di debolezza della strategia del proprio cliente e di quella avversaria.
Inizialmente gli avvocati delle parti tendevano a voler influenzare il mediatore in merito alla bontà delle proprie tesi mentre in tempi più recenti sta sempre più emergendo che l’avvocato non cerca di persuadere il mediatore della fondatezza delle ragioni del proprio cliente (mirando al raggiungimento del massimo risultato per quest’ultimo), ma in varie occasioni si impegna affinché le parti raggiungano una soluzione condivisa. Pare dunque che anche i nostri colleghi stiano lentamente acquisendo una mentalità improntata al cosiddetto “win-win” ossia l’epilogo del procedimento che, in caso di accordo, fa sorgere la percezione di “vittoria” per entrambe le parti.
Sembra proprio che gli avvocati abbiano acquisito più consapevolezza della nuova sfida da affrontare con la necessaria competenza, al fine di garantire un contributo professionale al quale difficilmente le parti possano rinunciare, che richiede tuttavia un approccio, anche culturale, diverso da quello che siamo abituati ad utilizzare nel nostro lavoro quotidiano.
L’auspicio è che la positiva tendenza inaugurata negli ultimi tempi sia il preludio ad un atteggiamento, da parte dei legali delle parti in mediazione, sempre più collaborativo e conciliativo nel corso dei procedimenti nei confronti del mediatore, della parte, della controparte e del suo avvocato. Sarebbe davvero un bel segnale!
Fin dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 il mondo dell’Avvocatura ha purtroppo percepito la mediazione come un adempimento necessario ed obbligatorio, se non come un vero e proprio intralcio alla successiva azione giudiziale da proporre davanti alle sedi competenti. Sovente, in mediazione, l’atteggiamento dei legali delle parti assumeva carattere di distacco e talvolta di insolenza nei confronti del mediatore e più in generale dell’istituto della mediazione. E’ probabile che tali condotte siano state dettate anche dalla percezione, legittima ma profondamente errata, di una perdita di rilievo del legale nel corso del nuovo procedimento.
Nonostante il ruolo di primo piano inequivocabilmente assunto dalla parte, negli anni più recenti i legali hanno acquisito consapevolezza dell’importante funzione che svolgono intervenendo ai procedimenti di mediazione anche, ove necessario, al fine di chiarire i risvolti giuridici della controversia.
La presenza, durante la sessione congiunta, di entrambi i difensori delle parti sta risultando sempre più utile anche ai fini della creazione e del mantenimento di un clima sereno e di un atteggiamento collaborativo in modo da incanalare la discussione tra le parti entro i limiti di un proficuo scambio di informazioni volto all’individuazione dei problemi da affrontare. La “condotta” dei colleghi è dunque sensibilmente migliorata dopo la diffidenza iniziale ed i risultati dei procedimenti di mediazione sono lì a testimoniarlo.
Anche per quanto riguarda le sessioni private sta emergendo che l’avvocato può utilmente affiancare il proprio cliente rassicurandolo, in particolare, sulla riservatezza (sia verso l’esterno, sia nei confronti della controparte) delle dichiarazioni rese al mediatore nel corso di tali sessioni in modo che, essendo garantita una maggior libertà di espressione e di contenuti, la parte possa rendersi più disponibile a riferire al mediatore qualsiasi circostanza utile ai fini della soluzione della controversia. Significativa in tale prospettiva è senz’altro l’assistenza dell’avvocato, perché il legale è l’unico in possesso della preparazione tecnica necessaria a mettere in luce i punti di forza e di debolezza della strategia del proprio cliente e di quella avversaria.
Inizialmente gli avvocati delle parti tendevano a voler influenzare il mediatore in merito alla bontà delle proprie tesi mentre in tempi più recenti sta sempre più emergendo che l’avvocato non cerca di persuadere il mediatore della fondatezza delle ragioni del proprio cliente (mirando al raggiungimento del massimo risultato per quest’ultimo), ma in varie occasioni si impegna affinché le parti raggiungano una soluzione condivisa. Pare dunque che anche i nostri colleghi stiano lentamente acquisendo una mentalità improntata al cosiddetto “win-win” ossia l’epilogo del procedimento che, in caso di accordo, fa sorgere la percezione di “vittoria” per entrambe le parti.
Sembra proprio che gli avvocati abbiano acquisito più consapevolezza della nuova sfida da affrontare con la necessaria competenza, al fine di garantire un contributo professionale al quale difficilmente le parti possano rinunciare, che richiede tuttavia un approccio, anche culturale, diverso da quello che siamo abituati ad utilizzare nel nostro lavoro quotidiano.
L’auspicio è che la positiva tendenza inaugurata negli ultimi tempi sia il preludio ad un atteggiamento, da parte dei legali delle parti in mediazione, sempre più collaborativo e conciliativo nel corso dei procedimenti nei confronti del mediatore, della parte, della controparte e del suo avvocato. Sarebbe davvero un bel segnale!