Commento:
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La controversia rientrava nell'alveo applicativo dell'art. 5, comma 1°, d.l.gs 28/2010 per il quale il procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda proposta. Il convenuto eccepiva il mancato avveramento della condizione.
All'udienza del 15 luglio 2024 le parti erano state quindi invitate dal giudice ad avviare la mediazione e la causa veniva rinviata al 25 novembre 2024.
A distanza di oltre quattro mesi da quell'udienza del 15 luglio 2024, nessuna delle parti aveva tempestivamente avviato e concluso la mediazione.
L’istanza di avvio della mediazione veniva infatti depositata solo il 22 novembre 2024 (tre giorni prima dell’udienza di rinvio all’uopo fissata dal giudice) e con le note scritte depositate il giorno successivo l’attrice formulava una richiesta di rinvio dell’udienza ormai prossima.
Il giudice ha ritenuto che, anche a seguito della riforma Cartabia, la mediazione debba essere svolta e quindi giungere a compimento entro l’udienza fissata dal giudice, salva la possibilità di un rinvio della stessa nel caso in cui il procedimento di mediazione si sia protratto (dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti) fino al suo termine massimo di tre mesi previsto dall’art. 6 d. lgs. 28/2010 (nel testo ante correttivo).
E ha osservato, altresì, che al termine per la definizione del procedimento, al fine di verificare il tentativo di mediazione, deve essere riconosciuto l'effetto di stimolare le parti all'attivazione della procedura, in modo che essa possa essere portata a conclusione prima della celebrazione dell’udienza di rinvio, non dovendo i tempi di definizione della procedura di mediazione ricadere sulla durata del processo.
Quanto alla richiesta attorea di rinvio di udienza, la stessa veniva qualificata quale rimessione in termini ex art. 153 comma 2 c.p.c., posto che la proroga è prevista dalla legge solo per i termini ordinatori; solo prima della scadenza, e solo per motivi particolarmente gravi.
Osservava, infatti, al riguardo, il giudice che la rimessione in termini è istituto ben diverso: ha per presupposto la decadenza incolpevole da un adempimento processuale e non differisce il termine già fissato, ma rimette la parte interessata nella medesima posizione in cui si sarebbe trovata, se il primo termine inutilmente scaduto non fosse mai stato fissato.
La proroga, dunque, evita una decadenza, mentre la rimessione in termini sana ex tunc una decadenza già verificatasi.
Il giudice ha quindi concluso che non potendo essere considerata presentata in tempo utile una domanda di mediazione depositata solo tre giorni prima dell’udienza e a distanza di oltre quattro mesi da quella precedente, il termine di legge doveva considerarsi già scaduto e tanto consentiva solo una richiesta di rimessione in termini.
Sennonché, l’attrice, nella sua istanza di rinvio dell’udienza non aveva nemmeno dedotto i presupposti incolpevoli che avrebbero legittimato una sua rimessione in termini.
In conclusione, poiché il procedimento non era stato iniziato (né concluso) nel termine di tre mesi per colpevole inerzia delle parti (la convenuta aveva proposto una sua domanda riconvenzionale) che avevano ritardato la presentazione dell'istanza, doveva essere dichiarata l'improcedibilità della domanda proposta nel giudizio, non potendosi ritenere assolta la condizione prescritta dalla normativa citata (d.lgs. n. 28 del 2010).

Conseguita la laurea presso l’Università degli Studi di Bologna (con una tesi in diritto processuale civile su L'arbitrato commerciale internazionale nella prassi delle camere arbitrali) e l'abilitazione, mi sono iscritta all’Albo degli Avvocati di Bologna ed esercito la professione dal 1986.
Ho avuto il privilegio di essere allieva del prof. avv. Federico Carpi e, dal 1992, sono docente dell’Università di Bologna, dove oggi insegno Diritto processuale generale, del lavoro e delle procedure ...
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