Mediazione, domande riconvenzionali e chiamata di terzo. Litisconsorzio necessario, facoltativo e improcedibilità

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Avv. Silvio Zicconi

Non tutte le domande giudiziali aventi un oggetto rientrante nelle materie di cui all’art.5 D. Lgs. n.28/2010 sono di per sé soggette alla condizione di procedibilità. Tutto dipende dal modo in cui la domanda è posta nell’ambito del giudizio.

A cura del Mediatore Avv. Silvio Zicconi da Sassari.
Letto 288 dal 16/10/2025

Così come nell’ambito del processo, anche nella procedura di mediazione è possibile la chiamata di un soggetto terzo.  In mediazione poi, questo può essere realizzato con maggior facilità non essendovi per alcuna delle parti l’onere, a pena di decadenza, di chiedere l’estensione del contraddittorio anche ad un soggetto rimasto sino a quel momento estraneo al procedimento.
 
Al contrario nel processo la parte che ne abbia interesse ha l’onere di esercitare detta facoltà nel primo atto difensivo; questo per evidenti ragioni di economia processuale, avendo il convenuto piena contezza del thema decidendum dal momento della ricezione dell’avverso atto. Da questa consapevolezza deriva la possibilità di valutare se sia necessario, opportuno o conveniente estendere l’oggetto del giudizio anche ad un terzo, dal quale la parte voglia essere garantita (in senso stretto o lato) o nei cui confronti voglia formulare domande comunque connesse alla domanda introdotta dall’attore e/o collegata ad una difesa del convenuto medesimo (in detto ultimo caso sarà l’attore a richiedere l’estensione del contraddittorio ad un terzo).
Economia processuale e ragionevole durata del processo impongono alle parti di effettuare questa valutazione e adottare la relativa decisione nel primo atto difensivo, essendo detta scelta determinante ai fini della cristallizzazione del thema decidendum, presupposto imprescindibile per il passaggio alla successiva fase di formazione del thema probandum.
 
La diversa natura della mediazione giustifica le differenze di carattere procedurale.
Infatti, per quanto tendenzialmente anche in una procedura negoziale quale la mediazione, l’esigenza di invitare soggetti terzi ad un confronto sorga nella fase negoziale iniziale, quando le parti cominciano a confrontarsi sulle ragioni che hanno portato l’istante ad introdurre la mediazione (ragioni che, per altro, l’istante ha l’onere di esplicitare in maniera quanto più precisa possibile per non incorrere nel rischio dell’improcedibilità, rilevabile ogni qual volta vi sia una difformità tra la domanda giudiziale e l’istanza di mediazione), non è escluso che detta esigenza possa evidenziarsi anche in un incontro successivo al primo e con riguardo a profili ulteriori rispetto a quello inizialmente affrontato.
Se da un lato l’assenza di vincoli e preclusioni formali in mediazione non esclude la possibilità di estendere il contraddittorio a soggetti terzi, questo non significa che detta opzione debba necessariamente essere sempre esercitata con nonchalance.
La scelta infatti è condizionata dalla funzione stessa della mediazione, ovvero al raggiungimento di un accordo tra le parti. Da ciò ne consegue che la chiamata del terzo in mediazione deve ritenersi non solo consentita ma senz’altro opportuna non già per soddisfare l’esigenza di assolvere ad una condizione di procedibilità della domanda nei confronti del terzo, bensì ogni qualvolta l’invito al terzo sia imprescindibile o anche solo opportuno e funzionale al raggiungimento di un accordo.
 
In altre parole, così come il giudice nel processo non autorizza la chiamata in causa del terzo quando ciò non sia strettamente necessario alla definizione del giudizio in corso (come nelle ipotesi di litisconsorzio necessario) o quando non sia giustificato da ragioni di economia processuale, analogamente in mediazione dovrebbe evitarsi l’invito ad un terzo ogni qualvolta questa estensione renda più difficoltoso il raggiungimento dell’accordo o comporti una dilatazione della durata della mediazione non consentita dalla legge. 
 
Da ciò ne discende che la estensione del contraddittorio in mediazione è senz’altro necessaria in tutte le ipotesi di litisconsorzio necessario, posto che in difetto non potrebbe che dichiararsi l’improcedibilità della domanda nella misura in cui alcuni litisconsorti necessari non siano stati posti in condizione di definire la controversia in mediazione.  Ove poi i partecipanti alla mediazione abbiano (per mera ipotesi) raggiunto un accordo senza la partecipazione di litisconsorti necessari, ovviamente questo non potrebbe avere alcun valore nei confronti di questi né potrebbe essere utilizzato quale titolo esecutivo nei loro confronti, salvi eventuali profili di nullità dell’accordo medesimo.
 
In tutte le ipotesi di litisconsorzio facoltativo, invece, vale quanto detto sopra: l’invito a soggetti terzi è subordinato ad esigenze di opportunità ed a valutazioni di carattere anche prognostico circa il raggiungimento di un accordo, che le parti sono chiamate a fare, con l’ausilio dei propri avvocati ed il supporto dello stesso mediatore.
 
Diverso discorso deve invece farsi con riguardo alla condizione di procedibilità ed al caso in cui la domanda rivolta al terzo abbia ad oggetto una delle materie di cui all’art.5 del D.Lgs. n.28/2010.
La questione è stata lungamente e vivacemente dibattuta tanto da essere portata all’attenzione delle Sezioni Unite e da queste risolto a distanza di quattordici anni dall’introduzione della mediazione civile e commerciale in Italia.
 
La risposta fornita dalla Sezioni Unite, avente ad oggetto la procedibilità della domanda riconvenzionale ma del tutto valida anche nei riguardi della domanda rivolta al terzo chiamato in causa, si fonda proprio sulla diversa e particolare natura della procedura di mediazione (sentenza n.3452/2024).
In primo luogo la S.C. ricorda come debba distinguersi tra domande riconvenzionali collegate all’oggetto del giudizio e domande riconvenzionali c.d. “eccentriche”, ovvero quelle “in nessun modo obiettivamente ricollegabili all’oggetto”.
Riguardo alle prime -si è detto- la lettera e la ratio stessa della norma inducono a ritenerla non sottoposta alla condizione della mediazione obbligatoria in quanto domanda direttamente collegata all’oggetto del processo già introdotto dall’attore e per il quale è stata già infruttuosamente esperito il tentativo di conciliazione di cui al D. Lgs. n.28/2010.  Considerando quindi anche la funzione deflattiva della mediazione e le finalità di economia processuale (per cui si deve evitare il proliferare di cause separate dinanzi al medesimo organo giudiziario) la S.C. ha rimarcato come imporre un successivo e più successivi tentativi obbligatori di mediazione per ogni domanda proposta nel giudizio, così differendo la trattazione della causa con conseguente allungamento dei tempi di definizione della stessa, costituisca un effetto non voluto e contrario allo stesso spirito della norma, tesa a favorire una risoluzione più rapida delle controversie.
 
Il problema, potrebbe invece porsi per le c.d. domande riconvenzionali “eccentriche” che, non collegate all’oggetto della domanda dell’attore, estendono il thema decidendum.
Le SS.UU. arrivano alla medesima conclusioni di cui sopra sulla base di una pluralità di principi, quali la funzione deflattiva, di cui si è detto, quello della certezza del diritto e quello della ragionevole durata del processo.  Secondo la S.C. “l’esigenza di non cadere in soluzioni controproducenti emerge con chiarezza dalle regole positive dettate dal legislatore quali l’art.23/2 D. Lgs n.28/2010, l’art.3/1 D.L. n.132/2014 e art.5 commi 3 e 6 D. Lgs. n.28/2010 miranti ad evitare un doppio e contemporaneo filtro alla giurisdizione da parte di procedure ADR, optando per l’alternatività di dette ultime procedure”. Altri elementi rilevanti secondo le SS.UU. sono rappresentati dal termine breve fissato per l’eccezione e la rilevazione d’ufficio dell’improcedibilità; la durata massima della procedura di mediazione, la tutela del principio della ragionevole durata del processo e la necessità che l’esercizio del diritto di difesa non sia reso impossibile o ostacolato da inutili intralci ed oneri eccessivi, rimarcati anche dalla Corte Costituzionale con le pronunce n.266/2019, n.82/1999, n.63/1977 e n.73/1988.
In quest’ottica, evidenzia la Corte, se si differisse la trattazione all’esperimento della procedura di mediazione anche alla domanda riconvenzionale,
i tempi si allungherebbero oltre ogni modo ed il rinvio andrebbe a riguardare ovviamente la trattazione dell’intera causa, ivi compresa quella parte del thema decidendum che in quanto oggetto della domanda dell’attore, aveva già superato la soglia della procedibilità con il preventivo infruttuoso esperimento della mediazione”
 
Perché quindi la mediazione –sempre secondo le SS.UU.- svolga un ruolo proficuo, questo non deve prestarsi ad abusi o eccessi, essendo questa “più che accertamento di diritti” un “contemperamento di interessi con semplicità di forme e rapidità di trattazione”.  Concludono quindi le Sezioni Unite, che “la mediazione obbligatoria ha la sua ratio nelle dichiarate finalità di favorire la rapida soluzione delle liti e l’utilizzo delle risorse pubbliche giurisdizionali solo ove effettivamente necessario”; pertanto –continuano- “l’istituto non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia”. Ricorda poi la S.C. come sia compito del mediatore diligente “esortare le parti a mettere ogni profilo sul tappeto”, ivi comprese le altre richieste del convenuto (oggetto nel giudizio di riconvenzionale); questo ai sensi dell’art.8 del D. Lgs. n.28/2010.
 
Fermo detto principio, però, si rileva come le SS.UU. abbiano preso in considerazione esclusivamente l’ipotesi di domande riconvenzionali tipiche ed eccentriche, così come anche la c.d. reconventio reconventionis, in giudizi in cui la domanda dell’attore sia soggetta alla condizione di procedibilità, regolarmente assolta con esito infruttuoso; non già al caso di domande riconvenzionali soggette alla condizione di procedibilità e proposte in risposta a domande non sottoposte a detta condizione (e per le quali, quindi, nessuna mediazione è stata attivata prima del giudizio).
In detta ipotesi, stante il mancato esperimento di qualsiasi tentativo di conciliazione in mediazione da parte dell’attore, si reputa che la domanda riconvenzionale (e analogo discorso varrebbe anche per la reconventio reconventionis) nelle materie di cui all’art.5 D. Lgs n.28/2010 sia sempre soggetta alla condizione di procedibilità per cui il giudice anche d’ufficio dovrebbe sempre disporre l’esperimento della mediazione, rinviando la trattazione della causa.
 
Da ultimo, con riguardo alla chiamata in causa del terzo, la giurisprudenza di merito, richiamando i principi espressi dalle SS.UU., ha ritenuto che l’obbligo di esperire il tentativo di mediazione previsto dalla legge non riguarda le domande che vengono rivolte al terzo.
Nel caso affrontato da ultimo dal Tribunale di Bari (sentenza n.1472/2025), avente ad oggetto un risarcimento danni da responsabilità medica, il danneggiato aveva esperito preventivamente la mediazione esclusivamente nei confronti della struttura sanitaria e non anche nei confronti dei terzi chiamati in regresso, nei cui confronti il contraddittorio non era stato integrato in sede di mediazione (neanche su iniziativa della struttura medesima).
Il Tribunale, confermando i menzionati principi ha quindi ribadito come la domanda formulata in sede di chiamata di terzo non sia sottoposta alla condizione di procedibilità in quanto ha ritenuto che “le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità costituiscono una deroga all’esercizio di agire in giudizio garantito dall’art.24 Cost.; dunque non possono essere interpretate in senso estensivo”. Questo in ragione del dato testuale che prevede che l’eccezione di improcedibilità venga sollevata dal convenuto, qualificazione che il codice di rito riferisce al destinatario della vocatio in ius da parte attrice, che, per altro – rimarca il giudice- nel caso di specie neppure ha esteso la propria domanda risarcitoria nei confronti dei terzi chiamati in causa.
Fermo il dato testuale, il Tribunale ha condiviso l’orientamento delle SS.UU. giudice di legittimità quando ha rilevato come una diversa interpretazione della norma comporterebbe “un inevitabile ed eccessivo allungamento dei tempi di definizione del processo, incompatibile con il principio della ragionevole durata dello stesso” (Trib. Bari n.1472/2025; cfr. Trib. Palermo ord.27.02.2016, Trib. Napoli sent. 8172023, ivi richiamate).
Sassari 14.10.2025
Avv. Silvio Zicconi
 

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Chi è l'autore
Avv. Silvio Zicconi Mediatore Avv. Silvio Zicconi
Avvocato Civilista dal 1995, consigliere dell'Ordine degli Avvocati di Sassari dal 2008, dal 2010 al 2014 è Consigliere Segretario del medesimo Ordine. Già componente della relativa commissione "Mediazione", dal 2011 è Mediatore civile e commerciale ai sensi del D.Lgs. n.28/10. Svolge attività di consulenza ed assistenza legale giudiziale ed stragiudiziale prevalentemente nel settore del diritto civile, diritti reali, obbligazioni e contratti, divisioni, successioni, assicurazioni, diritto comme...
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