Testo integrale:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO Dl ROMA
SEZIONE X CIVILE
in persona del giudice designato, dott.ssa Maria Luisa Rossi, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile di primo grado iscritta al n.r.g. 8707 /2016 vertente
tra
A.M. ((...) )
Rappresentata e difesa dall'avv. VADALA' CHIARA giusta procura in atti
ATTRICE
CONTRO
R.C. ((...) )
Rappresentata e difesa dall'avv. PASQUALI GIORGIO giusta procura in atti
CONVENUTA
Avente ad oggetto: Vendita di cose immobili;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, M.A. conveniva in giudizio innanzi a codesto Tribunale R.C., esponendo: che, in data 1 dicembre 2004, Risorse per Roma - R. S.p.A., società incaricata dal Comune di Roma di provvedere all'alienazione di parte del suo patrimonio immobiliare, giusta delibere del Consiglio Comunale n. 139/01 e n. 221/04, aveva inviato a B.F., coniuge dell'attrice, una comunicazione ai fini dell'esercizio del diritto di opzione d'acquisto dell'immobile di proprietà del Comune, sito in R., alla Via A. P. n. 268, NCEU partita 28259, foglio (...), particella (...), sub. (...), categoria (...), da lui condotto in locazione; che il diritto di opzione veniva riconosciuto non solo al conduttore (nella specie, il F.), ma anche a chi fosse stato con lui residente nell'immobile da almeno cinque anni; che, pertanto, essendo nel possesso dei requisiti prescritti per il riconoscimento dell'opzione, aveva tempestivamente esercitato l'opzione, versando l'acconto del corrispettivo di acquisto nei termini e nella misura richiesta da R. S.p.A.; che l'amministrazione aveva quindi verificato la sussistenza dei requisiti, comunicandole, in data 29 marzo 2010, la data fissata per il rogito notarile; che, tuttavia, l'incontro delle parti innanzi al notaio era stato posticipato dal Comune, per sue asserite esigenze tecniche, ed era infine rimasto inattuato, nonostante i suoi solleciti; che, pertanto, sussistevano le condizioni per l'esecuzione specifica di cui all'art. 2932 c.c., perché con la comunicazione del 29 marzo 2010, relativa all'esito positivo delle verifiche alle quali era sospensivamente condizionato il diritto di opzione, si era perfezionato tra le parti un preliminare di compravendita dell'immobile, con il conseguente obbligo di R.C. di addivenire alla stipula del contratto definitivo. Tanto esposto, l'attrice domandava l'accertamento dell'inadempimento di R.C. all'obbligo di trasferimento della proprietà dell'immobile e la pronuncia di una sentenza produttiva degli effetti della compravendita non conclusa.
Si costituiva in giudizio R.C. eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria. Nel merito, la convenuta deduceva l'insussistenza di un obbligo a suo carico di trasferimento dell'immobile e la conseguente inapplicabilità dell'art. 2932 c.c. e precisava : che, in effetti, l'immobile oggetto di causa era stato inserito nel programma di alienazione disposto con delibera del consiglio comunale n. 139/01 e che l'amministrazione aveva riconosciuto in capo all'attrice il diritto di opzione all'acquisto del bene, autorizzando la relativa vendita con D.D. n. 250/2007; che, tuttavia, la stipula del rogito notarile era stata sospesa per l'esistenza di problematiche di natura tecnico/catastale; che, inoltre, con successiva ordinanza sindacale n. 65/2011, era stata nominata una Commissione di verifica delle attività di alienazione che aveva rilevato che "le vendite erano state tutte precedute da un'unica stima dell'immobile", mentre "soltanto in occasione dell'asta del 2009 i beni avevano formato oggetto di un aggiornamento della stima"; che, pertanto, l'amministrazione aveva "chiuso le attività di vendita" ed inserito tutti i beni non ancora alienati, compreso quello di Via A. P. n. 268, in un nuovo provvedimento di alienazione, autorizzato con delibera dell'Assemblea Capitolina n. 6/2015, offrendo alla A. la restituzione dell'acconto versato; che, nel caso di specie, le parti non avevano stipulato alcun contratto preliminare avente le forme prescritte dall'art. 1351 c.c., con cui l'Amministrazione si sarebbe posta allo stesso livello del contraente privato, non essendo sufficiente a tal fine una mera dichiarazione della P.A. di avvenuta ricezione della domanda di "riscatto" proposta dall'interessato ed occorrendo, invece, un atto di formale accettazione di tale domanda, previa verifica dei requisiti richiesti dalla legge; che neppure l'esistenza di un diritto di prelazione, come quello che ricorre nel presente caso, implicava un obbligo di concludere il contratto a carico del promittente. Concludeva, quindi, per il rigetto della domanda attorea.
Disposta ed espletata consulenza tecnica d'ufficio volta ad accertare la conformità dello stato dei luoghi alla planimetria catastale e la regolarità urbanistica ed edilizia dell'immobile, all'udienza di precisazione conclusioni del 18 ottobre 2018, la causa veniva trattenuta in decisione.
Deve anzitutto confermarsi l'ordinanza emessa il 7 luglio 2016, di rigetto dell'eccezione di improcedibilità sollevata da R.C. per il mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria. Come già rilevato nell'ordinanza, infatti, la presente causa non verte in materia di diritti reali, contrariamente a quanto dedotto dalla convenuta, ma concerne un preteso inadempimento dell'amministrazione all'obbligazione precedentemente assunta di stipulazione di un contratto di compravendita. Si tratta, pertanto, di controversia che riguarda un rapporto obbligatorio, estranea al novero delle materie soggette al procedimento di mediazione obbligatoria di cui all'art. 5 co. 1 bis D.Lgs. n. 28 del 2010.
Nel merito, deve preliminarmente esaminarsi la questione concernente la sussistenza in capo alla convenuta di un obbligo di alienazione dell'immobile suscettibile di esecuzione ex art. 2932 c.c.
A tal proposito, non è controverso tra le parti che con delibera del Consiglio Comunale n. 139/01 il Comune di Roma ha autorizzato l'alienazione di parte del proprio patrimonio immobiliare, con incarico della relativa esecuzione a R. S.p.A., ricomprendendo nelle procedure di vendita anche l'immobile sito in Roma, Via A. P. n. 268. È altresì pacifico che, con la citata delibera, il Comune ha riconosciuto ai conduttori degli immobili vendibili e agli altri soggetti in essi residenti da almeno cinque anni (nella specie, al sig. F. e alla moglie A.) un diritto, qualificato talora come "opzione" (in questi termini si esprime la Del. C.C. n. 139/01, nonché la comunicazione di R. S.p.A. del 1 dicembre 2004 prodotta sub doc. 1 dalla A.), talaltra come "prelazione" (nelle allegazioni compiute da entrambe le parti nelle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c. e in comparsa conclusionale), di essere preferiti nell'acquisto degli immobili rispetto a qualunque altro interessato, fruendo anche di un riduzione percentuale del 30 % del corrispettivo di acquisto. Sempre secondo la concorde ricostruzione delle parti, la A. ha tempestivamente esercitato detto diritto di preferenza, versando l'acconto sul corrispettivo di acquisto e, con D.D. n. 250/2007, verificato il possesso dei requisiti, l'amministrazione ha autorizzato la vendita dell'immobile in suo favore, comunicando la data del rogito.
Meno chiara è, invece, la rappresentazione offerta dalle parti di quanto sarebbe avvenuto dopo il differimento della data dell'incontro innanzi al notaio (cfr. doc. 5 A.). In particolare, la convenuta ha allegato che, dopo avere rinviato il rogito per problematiche di natura tecnico/catastale, essa avrebbe "chiuso" le attività di vendita disposte con la Delib. n. 139 del 2001 per ricomprendere gli immobili da dismettere, compreso quello per cui si controverte, in una nuova procedura di alienazione disposta con Del. A.C. n. 6/2015, in seguito a non ben precisate verifiche compiute da una Commissione di inchiesta istituita con ordinanza sindacale n. 65/2011. Non si comprende, dunque, se l'ente abbia adottato provvedimenti di autotutela per riscontrate illegittimità delle procedure di vendita (R.C. si è limitata a riferire, del tutto genericamente, che vi sarebbe stata "un'unica stima dell'immobile" e che una nuova valutazione sarebbe stata effettuata in occasione di una non ben precisata asta), né l'attrice, per parte sua, ha controdedotto alcunché avverso tali allegazioni. Ne risulta una ricostruzione generica, nient'affatto intellegibile, delle vicende che, a dire della convenuta, avrebbero determinato la riconduzione dell'immobile nell'ambito della nuova procedura di alienazione di cui alla delibera A.C. n. 6/2015.
Ciò premesso, deve comunque riconoscersi che, con la D.D. n. 250/2007 (che, pur non versata in atti, in base alla concorde ricostruzione delle parti, risulta aver autorizzato la vendita in favore della A., una volta accertato il possesso dei requisiti per l'esercizio del diritto di "opzione") e con la conseguente comunicazione di R. S.p.A. del 29 marzo 2010 di fissazione della data del rogito, sia divenuto operante in capo ai contendenti un obbligo di contrarre, riconducibile alla fattispecie del contratto preliminare di compravendita.
Ed infatti, sebbene sia senz'altro condivisibile la deduzione di R.C. secondo cui le procedure di alienazione degli immobili di proprietà comunale rivestono carattere pubblicistico (la disciplina è contenuta nella L. n. 783 del 1908 e relativi regolamenti di attuazione, parzialmente derogati dal Regolamento n. 50/1999, emanato dal Consiglio Comunale di Roma in attuazione dell'art. 12 co. 2 L. n. 127 del 1997), ciò non implica, tuttavia, che non possa riconoscersi in capo all'amministrazione un obbligo di contrarre, quando la procedura sia giunta al termine, con la manifestazione di volontà di stipula da parte dell'ente, l'individuazione dei contenuti del contratto e la scelta del soggetto con cui quest'ultimo deve essere stipulato. Dopo la conclusione della fase amministrativa (nella quale, peraltro, la giurisprudenza amministrativa e di legittimità ammettono ormai da tempo l'applicabilità della disciplina di diritto comune, per i profili estranei all'esercizio del potere amministrativo: cfr. C.d.S. n. 1142/2015; Cass. S.U. n. 11656/2008), la posizione della P.A. è equiparabile a quella di un comune privato e le attività da essa poste in essere devono essere valutate unicamente alla stregua del diritto civile, salvo che non vengano in rilievo provvedimenti di annullamento o di revoca degli atti amministrativi già adottati (cfr. Cass. S.U. n. 24411/2018 che, sia pure in materia di giurisdizione e con riferimento alla disciplina relativa ai c.d. contratti passivi delle PP.AA., ha significativamente riconosciuto che la situazione che si determina dopo l'aggiudicazione - e cioè l'individuazione del soggetto scelto come contraente, da considerare quale fase terminativa del procedimento amministrativo di evidenza pubblica - e prima della conclusione del contratto, non è più riconducibile, salvo specifiche ipotesi, all'esercizio di poteri autoritativi da parte dell'amministrazione, bensì si atteggia quale situazione paritetica, come tale assoggettata al diritto civile).
Nel caso di specie, la procedura di alienazione avviata con la Delib. n. 139 del 2001 non ha previsto l'immediata indizione di una gara pubblica, ma ha riconosciuto, come detto, in favore degli utilizzatori degli immobili, un "diritto di opzione" per il loro acquisto, subordinando al mancato esercizio di tale diritto l'attivazione dell'asta pubblica. Nell'osservanza di detto procedimento, quindi, con successiva comunicazione del 1 dicembre 2004, R. S.p.A., in esecuzione dell'incarico conferitole dal Comune, ha inviato al conduttore dell'immobile B.F. (coniuge della A.) la comunicazione ai fini dell'esercizio dell' "opzione", manifestando chiaramente "l'intento del Comune di Roma di trasferire a titolo oneroso l'immobile", con indicazione del prezzo di alienazione e delle relative modalità di pagamento (cfr. doc. 1 A.). A ciò ha fatto seguito il tempestivo esercizio del diritto da parte della A. e l'autorizzazione alla vendita da parte della convenuta con D.D. n. 250/2007, una volta accertata la sussistenza dei requisiti prescritti, alla quale l'"opzione" era stata condizionata negli effetti. La discrezionalità dell'ente si è così esaurita, giacché, nel dar corso al procedimento di alienazione del bene per come regolato dalla Delib. n. 139 del 2001, esso ha dapprima inviato un atto dal chiaro intento volitivo, come si evince dal tenore della comunicazione del 1 dicembre 2004 (i.e. "si comunica al Sig. F.B. l'intento del Comune di Roma di trasferire a titolo oneroso l'immobile in oggetto per il corrispettivo qui di seguito riportato e in conformità alle condizioni di seguito specificate") e dall'espressa riserva in suo favore della "facoltà di recedere dalle operazioni di vendita per giustificati motivi" (cfr. doc. 1 A.), il che implica che con la comunicazione si intendesse costituire un vincolo tra le parti, non essendovi altrimenti alcunché da cui recedere. Successivamente, accertato il regolare esercizio del diritto da parte della A., l'ente ha autorizzato la vendita e disposto l'incameramento dell'acconto ricevuto (cfr. pag. 6 comparsa di risposta R.C.), fissando la data dell'"atto definitivo di compravendita" (cfr. doc. 4 A.), anche qui con un atto dal tenore inequivocabile.
Alla luce dei suddetti elementi, non può dunque revocarsi in dubbio che una volta verificato il possesso dei requisiti in capo alla A., sia divenuto efficace il vincolo assunto dalle parti per il futuro trasferimento dell'immobile per cui è causa.
Vi è poi un'ulteriore ragione che milita a favore del riconoscimento di un obbligo a contrarre in capo a R.C.. Difatti, sebbene manchino, agli atti, puntuali riferimenti normativi a fondamento dell'"opzione" accordata agli utilizzatori degli immobili dalla Delib. n. 139 del 2001, il diritto dei conduttori, e dei soggetti ad essi equiparati, ad essere preferiti nell'acquisto di immobili nell'ambito delle procedure di dismissione del patrimonio pubblico è espressamente previsto dall'art. 3 co. 109 L. n. 662 del 1996. Come è noto, tale disposizione prevede che "Le amministrazioni pubbliche che non rispondono alla L. 24 dicembre 1993, n. 560 ... procedono alla dismissione del loro patrimonio immobiliare, con le seguenti modalità: a) è garantito, nel caso di vendita frazionata e in blocco ... il diritto di prelazione ai titolari di contratti di locazione in corso ovvero scaduti e non ancora rinnovati purché si trovino nella detenzione dell'immobile, e ai loro familiari conviventi sempre che siano in regola con i pagamenti al momento della presentazione della domanda di acquisto; ... d) per la determinazione del prezzo di vendita degli alloggi è preso a riferimento il prezzo di mercato degli alloggi liberi diminuiti del trenta per cento fatta salva la possibilità, in caso di difforme valutazione, di ricorrere ad una stima dell'ufficio tecnico erariale ...". Come è stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, con tale normativa (da ritenersi applicabile anche agli enti locali, in ragione del generale richiamo a tutte le amministrazioni pubbliche), il legislatore ha inteso contemperare due opposti interessi, quello degli enti pubblici di procedere alla dismissione del patrimonio immobiliare, divenuta ormai da tempo un'importante leva finanziaria per far fronte alle necessità di spesa delle PP.AA., e quello dei soggetti che già si trovino nella disponibilità del bene e ne fruiscano, favorendoli nell'acquisto dell'immobile rispetto ad ogni altro interessato, anche mediante un abbattimento del corrispettivo di compravendita (cfr. Cass. n. 12599/2001). Analoghe previsioni sono state contemplate, poi, anche in altre normative in tema di alienazione del patrimonio pubblico (cfr. p.e. il D.Lgs. n. 104 del 1996, relativo alle dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici, a cui la Delib. n. 139 del 2001 dichiara espressamente di ispirarsi), nelle quali, al di là delle qualificazioni di volta in volta impiegate (non sempre coerenti con la natura della situazione di "vantaggio" attribuita dalla legge), è stata introdotta una "preferenza" in favore degli utilizzatori nell'ambito delle procedure di vendita. La circostanza che una tale "preferenza" sia "garantita" direttamente dalla legge (cfr. art. 3 co. 109 L. n. 662 del 1996) ogniqualvolta l'amministrazione si determini a dismettere un proprio immobile e che non sia dato a quest'ultima il potere di sacrificare l'interesse dell'utilizzatore ad essere preferito nell'acquisto, in nome di un superiore interesse pubblico, induce a ritenere che la relativa situazione soggettiva vantata dal privato nei confronti della P.A. debba essere qualificata in termini di diritto soggettivo. E come ha riconosciuto in plurime occasioni la Suprema Corte, a tale diritto corrisponde un atto dovuto di "denuntiatio prelationis" a carico dell'ente, il quale, se rimane libero di decidere se dismettere o meno i suoi beni, è tuttavia tenuto, nel caso decida di farlo, a chiedere all'utilizzatore se intende avvalersi della prelazione. Con la conseguenza che, "Qualora a tale comunicazione o "denuntiatio prelationis" faccia seguito - nei tempi e con le modalità previste (ed in presenza delle altre condizioni previste dalla legge) - la dichiarazione del conduttore di esercizio del diritto di prelazione, si determina l'insorgenza dell'obbligo a carico di entrambe le parti di pervenire alla conclusione del contratto", fermo restando che "la dichiarazione del conduttore di esercizio del diritto di prelazione ... non comporta l'immediato acquisto dell'immobile ma determina l'insorgenza dell'obbligo, a carico di entrambe le parti, di pervenire alla conclusione del contratto, con possibilità di tutela ex art. 2932 c.c." (cfr. Cass. n. 9972/2008; si v. anche Cass. n. 710/2014; Cass. n. 12599/2001).
Le precedenti considerazioni non trovano, infine, smentita nelle eccezioni della convenuta secondo cui la prelazione non vincolerebbe il promittente alla stipulazione del contratto e che, nella specie, non sarebbe stato concluso dalle parti un preliminare avente le forme prescritte dall'art. 1351 c.c.
Sulla prima eccezione, sebbene sia vero che la prelazione (sia essa di fonte convenzionale o legale) comporta soltanto un obbligo del promittente di preferire il prelazionario a terzi, a parità di condizioni, nel caso in cui decida di concludere un determinato contratto, non vi è dubbio che, una volta che il promittente si sia determinato alla stipula, vi è l'obbligo a suo carico di inviare al prelazionario una vera e propria proposta contrattuale. La circostanza che nella specie la prelazione fosse rivolta alla stipulazione di un preliminare di compravendita, invece che a un contratto immediatamente traslativo (chiaro, in tal senso, è il tenore delle comunicazioni del Comune e del modulo compilato dalla A. in risposta alla proposta del primo, cfr. doc. 1, 2, 3 A.), non toglie che l'ente abbia denunciato alla A. la sua volontà di alienare l'immobile, con specifica indicazione del bene e del relativo corrispettivo, consentendole così di esercitare il suo diritto di preferenza e di dichiarare la sua accettazione alla conclusione del contratto nei termini e con i contenuti definiti dall'amministrazione.
Quanto invece ai requisiti necessari per l'integrazione di un preliminare di compravendita immobiliare, è sufficiente, come noto, che le parti abbiano concordato gli elementi essenziali del contratto (bene e relativo prezzo), mentre la forma scritta è soddisfatta da una qualunque scrittura privata (cfr. artt. 1350, 1351 c.c.) in cui le stesse manifestino la loro volontà, anche ove queste non siano espresse contestualmente in unico documento, ma risultino da due atti distinti di proposta e accettazione (cfr. art. 1326 c.c.). Requisiti tutti ricorrenti nella presente causa.
È significativo, inoltre, che sin dalla delibera C.C. n. 139/01 sia stato riconosciuto agli utilizzatori degli immobili un "diritto di opzione" di acquisto, poiché anche una simile previsione è sintomatica della volontà del Comune di vincolarsi all'alienazione dei beni nel caso in cui i soggetti legittimati avessero manifestato la loro volontà di acquistarli. Con tale "diritto", infatti, l'amministrazione ha espresso il chiaro intento di rimettere a questi ultimi la decisione di concludere la vendita, una volta comunicata a ciascuno di essi la sua volontà di alienazione, facendo salve soltanto le verifiche in ordine al corretto esercizio del diritto e la sua facoltà di "recedere" per "giustificati motivi". Rileva, altresì, il tenore del modulo predisposto dall'ente per l'esercizio dell'opzione da parte dei soggetti legittimati, secondo cui l'esito positivo della verifica dei requisiti avrebbe reso "valide ed efficaci" l' "offerta" del Comune e la comunicazione di esercizio del diritto di opzione da parte del privato, mentre, in caso di esito negativo della verifica, "il Comune di Roma resterà libero di vendere l'immobile a terzi" (cfr. doc. 2 A.). Pure da tale documento, infatti, si evince il chiaro intendimento dell'amministrazione di vincolarsi alla vendita dell'immobile in favore dell'attrice.
Riconosciuto pertanto in capo al Comune un obbligo di alienazione azionabile ex art. 2932 c.c., deve ora esaminarsi se sussistano le condizioni previste dalla legge per l'emanazione della sentenza richiesta dalla A..
Tale verifica conduce a un esito negativo, con conseguente rigetto della domanda proposta dall'attrice. Ed infatti, dalla consulenza espletata è emerso che l'immobile per cui si controverte presenta rilevanti difformità rispetto alla situazione riportata nella planimetria catastale. In particolare, il consulente ha riferito che nella pianta risultante in catasto l'immobile si sviluppa su due piani fuori terra, di cui il primo composto da un vano cucina, un piccolo vano ripostiglio, un bagno e un forno. Nello stato di fatto attuale, invece, risultano, oltre alla trasformazione del vano cucina in soggiorno, due vani realizzati ex novo, di complessivi 20,34 mq, adibiti a ingresso e cucina e un apprezzabile ampliamento del bagno (di attuali 5,60 mq. rispetto agli originari 1,50). Nell'area cortilizia, infine, sono stati realizzati ulteriori manufatti non risultanti nella planimetria originaria (due manufatti in muratura di complessivi 18,85 mq, due manufatti in lamiera di 20,39 e 21,19 mq e una tettoia amovibile), mentre al primo piano l'originario vano camera è stato trasformato in due vani, con disimpegno e piccolo bagno. Lo stato di fatto dell'immobile non è dunque corrispondente alla planimetria catastale, né esso è risultato conforme con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie, considerato che il consulente ha rilevato che non risulta alcun titolo autorizzativo alla base della realizzazione delle opere descritte.
Ora, il profilo afferente alle violazioni urbanistiche ed edilizie risulta superabile, come ha correttamente eccepito l'attrice, in base all'art. 2 co. 59 L. n. 662 del 1996. Tale disposizione, in effetti, esclude l'applicabilità dell'art. 40 L. n. 47 del 1985 (concernente la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali immobiliari dai quali non risultino gli estremi del titolo autorizzativo o della concessione in sanatoria, disposizione oggi riprodotta all'art. 46 D.P.R. n. 380 del 2001) ai trasferimenti di immobili di proprietà delle amministrazioni comunali, equiparando il regime di tali trasferimenti a quello previsto per le vendite realizzate nel corso di procedure esecutive (fatto salvo, in entrambi i casi, l'onere dell'acquirente dell'immobile abusivo di presentare una domanda di sanatoria, nel caso in cui l'abuso sia sanabile, ovvero l'obbligo di ripristino dello status quo ante, ove l'immobile non sia sanabile o manchi la relativa domanda). L'art. 2 co. 59 L. n. 662 del 1996 stabilisce, in particolare, che "Le disposizioni di cui ai commi quinto e sesto dell'articolo 40 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, si applicano anche ... ai trasferimenti di immobili ... delle amministrazioni comunali", laddove l'art. 40 co. 5 e 6 L. n. 47 del 1985 prevede che "La nullità di cui al secondo comma del presente articolo appunto la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali su immobili dei quali non siano indicati gli estremi del titolo edilizio non si applicano ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali nonché a quelli derivanti da procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa. Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge" (disposizioni oggi sostanzialmente riprodotte nell'art. 46 co. 5 D.R.P. n. 380 del 2001).
Deve invece considerarsi ostativo il profilo afferente alla difformità dello stato di fatto dell'immobile rispetto alla planimetria catastale. Come noto, infatti, all'art. 29 della L. 27 febbraio 1985, n. 52 è stato aggiunto il comma 1 bis dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (legge entrata in vigore dal 31.7.2010), che ha stabilito che "Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento ... di diritti reali su fabbricati già esistenti ... devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale ...". Sebbene tale disposizione si riferisca testualmente ai soli atti pubblici e scritture private autenticate, non può escludersi che la stessa si applichi anche i provvedimenti giudiziari di trasferimento di diritti reali ex art. 2932 c.c. (dei quali rappresenta un requisito di possibilità giuridica), giacché questi ultimi non possono produrre effetti maggiori o diversi da quelli che sarebbero derivati dal contratto non concluso. Anche la Suprema Corte, del resto, ha riconosciuto l'applicabilità della citata normativa ai provvedimenti giudiziari, statuendo che "per gli atti giudiziari di trasferimento di diritti reali (sentenze o decreti), l'accertamento richiesto dalla legge, più che essere riferito nell'atto giudiziario, è necessario che sia stato acquisito al processo. Con la conseguenza che, il mancato riferimento, nell'atto giudiziale di trasferimento, dei dati di cui alla normativa in esame ... determinerebbe ... l'omesso accertamento di un fatto decisivo per il giudizio" (cfr. Cass. n. 17990/2016). Nel caso di specie, è evidente che una simile verifica non può dirsi acquisita al processo, atteso che risulta un accertamento addirittura opposto, di difformità dello stato di fatto dell'immobile alle risultanze delle planimetrie catastali. Né può ritenersi che il richiamato art. 29 co. 1 bis L. n. 52 del 1985 non operi per i trasferimenti di immobili di proprietà comunale, giacché non vi è alcuna norma che sancisca detta esclusione (non è applicabile alla presente fattispecie l'art. 3 co. 18 e 19 D.L. n. 351 del 2001 convertito dalla L. n. 410 del 2001, relativo alle sole operazioni di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico realizzate in applicazione del medesimo Decreto). Il citato art. 2 co. 59 L. n. 662 del 1996, poi, concerne unicamente il profilo delle violazioni edilizie e dell'incommerciabilità degli immobili che ne siano affetti, non anche quello del rispetto delle disposizioni in materia catastale. Diversa, del resto, è la ratio delle due normative, essendo la L. n. 47 del 1985 (oggi, il T.U. n. 380/2001) intesa a contrastare l'abusivismo edilizio, mentre l'art. 29 co. 1 bis L. n. 52 del 1985 ha natura prettamente tributaria, mirando a garantire la c.d. coerenza oggettiva dell'immobile con i dati del catasto al fine di far emergere fenomeni di evasione fiscale (cfr. Cass. n. 17990/2016 cit.; Cass. n. 8611/2014). Il differente scopo perseguito dalle due norme, in uno al loro chiaro tenore testuale e all'evidente carattere eccezionale dell'art. 2 co. 59 L. n. 662 del 1996 (prevedendo esso una deroga alla regola generale di incommerciabilità degli immobili abusivi, con conseguente inapplicabilità dello stesso al di fuori dei casi da esso contemplati), fa concludere per l'assoggettamento dei trasferimenti di immobili di proprietà comunale alla regola della menzione nell'atto, a pena di nullità, del riferimento alle planimetrie depositate in catasto e della dichiarazione degli intestatari della conformità allo stato di fatto dell'immobile dei dati e delle planimetrie catastali.
Vi è infine un'ulteriore ragione ostativa alla pronuncia della sentenza richiesta, emergente dalla visura prodotta sub doc. 8 dall'attrice. Da tale documento risulta, infatti, che in data 19 dicembre 2006 il complesso edilizio situato a Roma, in Via A. P. n. 268-270, è stato dichiarato di interesse storico artistico ai sensi dell'art. 10 co. 1 D.Lgs. n. 42 del 2004. L'immobile per cui si controverte ha quindi la natura di bene culturale ed è come tale assoggettato alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, che ne subordina l'alienazione (anche ove realizzata nell'ambito di procedure di dismissione di beni immobili pubblici, cfr. art. 57 bis D.Lgs. cit.) all'autorizzazione del Ministero dei beni culturali di cui agli artt. 55 e 56, funzionale a verificare che la vendita non sia incompatibile con la natura del bene e a prescrivere le condizioni da osservare per la conservazione dello stesso. Dispone poi l'art. 164 co. 1 che "Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parte seconda compresi dunque gli artt. 53 ss. sulla circolazione dei beni culturali, o senza l'osservanza delle condizioni e modalità da essa prescritte, sono nulli". Ne consegue che non può pronunciarsi sentenza costitutiva degli effetti di un contratto di compravendita ove la stessa abbia ad oggetto un bene culturale e non risulti acquisita la prescritta autorizzazione ministeriale, versandosi anche in tal caso in una ragione di impossibilità giuridica della pronuncia ex art. 2932 c.c. E poiché nel presente caso l'attrice non ha dedotto né provato alcunché in proposito (nonostante la stessa abbia prodotto visura attestante l'esistenza del vincolo culturale), il profilo indicato costituisce un'ulteriore ragione di rigetto della domanda da essa proposta.
Il principio della soccombenza di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. impone di condannare l'attrice al rimborso delle spese di lite in favore di R.C., spese che si liquidano in complessivi Euro 6.715,00, oltre IVA, CPA e rimborso spese genarli del 15%, tenuto conto dei valori medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, diminuiti del 50 % in ragione della modesta entità dell'attività difensiva svolta da R.C..
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, sezione X, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Maria Luisa Rossi, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 8707/2016 RG., ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1. rigetta la domanda proposta da M.A. contro R.C. per l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c.;
2. condanna M.A. alla rifusione delle spese di lite in favore di R.C., spese che liquida in Euro 6.715,00, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15%.;
3. pone definitivamente a carico dell'attrice le spese di ctu liquidate con separato decreto.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2019.
Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2019.