Testo integrale:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale Sezione Terza
ha pronunciato la presente SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2003 del 2016, proposto dalla s.r.l. Ar., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Vo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...);
contro
il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;
il Ministero dello Sviluppo Economico e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Roma, via (...);
nei confronti
del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Campobasso ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma Sezione Prima, n. 9351/2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° dicembre 2022 il Cons. Umberto Maiello e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell'udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
- La s.r.l. Ar., attiva nel settore della mediazione e della formazione, adiva in prime cure (insieme ad altre tre società ) il TAR per il Lazio onde far dichiarare l'illegittimità derivata del regolamento del Ministero della giustizia, approvato di concerto con il Ministero dello sviluppo economico in data 18 ottobre 2010, n. 180, e del decreto 6 luglio 2011, n. 145, contenente modificazioni e integrazioni del precedente, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, in parte qua, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, resa con sentenza dalla Corte Costituzionale n. 272 del 6 dicembre 2012.
- Con la medesima domanda, la società Ar. chiedeva, altresì, la condanna delle medesime Amministrazioni al risarcimento dei danni, consistenti, da un lato, nei costi sostenuti in adempimento degli obblighi previsti dal summenzionato decreto 180 del 2010, poi privati di una causa legittima dopo la pronuncia della Corte Costituzionale e, dall'altro, nel mancato guadagno dovuto alla drastica riduzione delle pratiche di mediazione e nel settore della formazione a seguito della dichiarazione di incostituzionalità, essendo venuto meno il carattere della obbligatorietà della mediazione.
- Il TAR, all'esito del giudizio di primo grado, dopo aver ricostruito la disciplina di settore, analizzava l'incidenza della pronuncia della Corte costituzionale del 6 dicembre 2012, n. 272, concludendo nel senso che quest'ultima non avesse reso irrilevante l'intera disciplina contenuta nel decreto legislativo 28 del 2010, avendo bensì fatto venir meno solo il carattere obbligatorio dell'istituto della mediazione e della "conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie".
Il TAR respingeva, pertanto, la richiesta di accertamento dell'illegittimità derivata del Regolamento come conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di alcune delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 28 del 2010.
- Il giudice di prime cure, sotto distinto profilo, non ravvisava la dedotta violazione del diritto comunitario da parte del regolamento impugnato, atteso che, da un lato, l'ordinamento eurounitario consentiva ai singoli Stati membri la possibilità di imporre la mediazione come adempimento obbligatorio e, dall'altro, "la scelta in ordine alla obbligatorietà della mediazione risiede nel Dl.gs 28/2010 non già nel regolamento".
- L'interessato evidenziava ancora il TAR che andava esclusa anche la dedotta illegittimità del regolamento per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione, stante l'imperatività delle disposizioni di legge, che l'Amministrazione non avrebbe potuto disapplicare.
- Egli soggiungeva, infine, che, a seguito della approvazione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (convertito con modificazioni della legge 9 agosto 2013 n. 28), l'istituto della mediazione obbligatoria era stato introdotto nuovamente nell'ordinamento.
- Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello la società Ar., a tali fini articolando i seguenti motivi di gravame:
- l'appellante ribadisce in questa sede, anzitutto, l'esistenza di un nesso di diretta derivazione tra la previsione della natura obbligatoria della mediazione per come disciplinata dal decreto legislativo n. 28 del 2010 e il regolamento qui gravato, come peraltro fatto palese dal rigore che segna il regime ivi previsto in relazione ai requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza richiesti per l'iscrizione al registro dei mediatori. La dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 272 del 2012 della Corte costituzionale avrebbe, dunque, generato l'invalidità derivata del D.M. 180 del 2010, come del resto dimostrerebbe di per sé la stessa circolare del Ministero della giustizia del 12 novembre 2012;
- la decisione di primo grado andrebbe, inoltre, riformata nella parte in cui non ha valorizzato le doglianze con cui l'appellante aveva lamentato la violazione della disciplina comunitaria ovvero dell'articolo 17, comma 3, della legge 400/1988 in relazione all'eccesso di delega con violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione;
- con i successivi motivi di gravame la società ripropone le azionate pretese risarcitorie, ribadendo, a tali fini, l'interesse alla ulteriore coltivazione del presente giudizio nonostante la sopravvenuta disciplina introdotta con decreto-legge del 21 giugno 2013, n. 69 (convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n. 28), segnatamente in relazione al periodo non regolato dalla suindicata modifica normativa.
- Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate, che hanno concluso per il rigetto dell'appello.
- Con ordinanze presidenziali n. 698/2020 del 9 giugno 2020 e n. 1643 del 30 agosto 2022, le parti venivano invitate a comunicare la sussistenza del rispettivo interesse alla prosecuzione del giudizio di appello. La detta istanza veniva riscontrata dalla società Ar., che confermava il proprio interesse alla decisione.
- Le parti in vista dell'udienza di trattazione hanno depositato memorie e replicato alle difese avversarie.
- All'udienza del 1° dicembre 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
- L'appello è infondato e, pertanto, va respinto.
Tanto dispensa il Collegio dalla disamina dell'eccezione di inammissibilità dell'azione impugnatoria, sollevata dalle Amministrazioni intimate.
- Il giudice di prime cure ha, invero, correttamente applicato i principi rilevanti in subiecta materia.
- Anzitutto, il TAR ha puntualmente ricostruito la cornice giuridica di riferimento, che giova qui riprodurre ai fini di un compiuto inquadramento della res iudicanda.
- La direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in data 21 maggio 2008, "relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale", ha mirato a consentire un'migliore accesso alla giustizià, anche grazie a procedure extragiudiziali ed alternative di risoluzione delle controversie civili e commerciali.
La direttiva muove, invero, dal presupposto che la mediazione "può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti. Tali benefici diventano anche più evidenti nelle situazioni che mostrano elementi di portata transfrontaliera" (cfr. 6° Considerando).
Come rilevato dalla sentenza di primo grado, la direttiva del 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea espressamente consente di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto a incentivi o sanzioni.
Segnatamente, il primo periodo del 14° Considerando prevede che "La presente direttiva dovrebbe inoltre fare salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario".
Il principio, poi, è ripreso nell'art. 3, lettera a) della direttiva medesima che, dopo avere definito la mediazione come "un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l'assistenza di un mediatore", in ordine alle modalità stabilisce che "Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro".
E in termini coerenti l'articolo 5 paragrafo 2, riferito al ricorso alla mediazione, prevede che "La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario".
- L'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha poi delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai principi e criteri direttivi enunciati al comma 3 (comma 2), precisando sul piano procedurale che i decreti legislativi sarebbero stati adottati entro una predeterminata tempistica su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti.
L'elencazione dei principi e criteri direttivi è contenuta al successivo comma 3, tra i quali vanno segnalati quelli di seguito trascritti:
- prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia;
- prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione;
- disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione, di seguito denominato "Registro", vigilati dal medesimo Ministero, fermo restando il diritto delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell'articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, ad ottenere l'iscrizione di tali organismi nel medesimo Registro;
- prevedere che i requisiti per l'iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia;
r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l'indipendenza e l'imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni;
- Nell'esercizio della delega, è stato emanato il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che, all'art. 5, ha previsto, per talune tipologie di controversie, l'obbligatorietà della mediazione, ponendo a tali fini una condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L'art. 16 del decreto legislativo ha poi demandato ad un decreto ministeriale l'adozione del Regolamento avente ad oggetto "la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi", poi adottato con decreto 18 ottobre 2010, n. 180, poi modificato ed integrato con il decreto ministeriale 6 luglio 2011, n. 145.
- Con D.M. del 18 ottobre 2010, n. 180, dopo essere stato acquisito il parere favorevole del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 22 settembre 2010, è stato, dunque, adottato il Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
- Il testo del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, è stato poi inciso dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 1, rilevando un eccesso di delega in relazione al carattere obbligatorio dell'istituto di mediazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
In via consequenziale, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale anche:
- dell'art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2010, limitatamente al secondo periodo ("L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale") e al sesto periodo, limitatamente alla frase "se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1";
- dell'art. 5, comma 2, primo periodo, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole "Fermo quanto previsto dal comma 1 e",
- dell'art. 5, comma 4, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole "I commi 1 e";
- dell'art. 5, comma 5, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole "Fermo quanto previsto dal comma 1 e";
- dell'art. 6, comma 2, del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase "e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o del quinto periodo del comma 1 dell'articolo cinque,";
- dell'art. 7 del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase "e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, comma 1";
- dello stesso articolo 7 nella parte in cui usa il verbo "computano", anziché "computa";
- dell'art. 8, comma 5, del detto decreto legislativo;
- dell'art. 11, comma 1, del detto decreto legislativo, limitatamente al periodo "Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all'art. 13";
- dell'intero art. 13 del detto decreto legislativo, escluso il periodo "resta ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile";
- dell'art. 17, comma 4, lettera d), del detto decreto legislativo;
- dell'art. 17, comma 5, del detto decreto legislativo;
- dell'art. 24 del detto decreto legislativo.
- Così ricostruito il quadro giuridico di riferimento, a giudizio del Collegio, non è fondata la tesi dell'appellante nella parte in cui deduce che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, debba essere dichiarata l'illegittimità derivata del decreto ministeriale n. 180 del 2010.
- Ai sensi dell'art. 136 Cost. "quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione".
L'art. 30 della L. n. 87/1953, recante "Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale", stabilisce, da parte sua, che "le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione".
Tali principi comportano che la pronuncia di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge determina la cessazione della sua vigenza erga omnes.
La norma di diritto c.d. sostanziale (ma anche la norma processuale) dichiarata incostituzionale cessa, pertanto, di operare dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell'art. 30, l. 11 marzo 1953, n. 87.
Inoltre, avendo l'illegittimità costituzionale per presupposto l'invalidità originaria della legge, sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale, per contrasto con un precetto costituzionale, le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - dichiarative di illegittimità costituzionale - di regola eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca
anteriore alla pubblicazione della decisione (fermo restando il principio che gli effetti dell'incostituzionalità non si estendono ai diritti quesiti e ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalità ).
Quanto poi alle ricadute che la pronuncia di incostituzionalità di una norma di legge comporta sugli atti amministrativi che ne costituiscono applicazione, inclusi quelli aventi contenuto regolamentare, va richiamata la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr. in termini Cons. St., 11 settembre 2014 n. 4624), da cui non vi è ragione di discostarsi, la quale ha evidenziato che, sul piano sostanziale, l'atto amministrativo adottato sulla base di una legge dichiarata incostituzionale continua ad essere efficace, pur se l'Amministrazione può annullarlo.
La legge in contrasto con la Costituzione è, infatti, una legge invalida ancorché efficace sino alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale che la dichiara illegittima.
L'atto divenuto nel frattempo inoppugnabile mantiene i suoi effetti e va escluso che si possa rilevarne la nullità .
- Tanto premesso, rileva il Collegio come il descritto effetto invalidante non può essere apprezzato nella concreta fattispecie devoluta all'attenzione del Collegio, non essendovi un rapporto diretto tra l'atto regolamentare qui contestato e le specifiche norme dichiarate costituzionalmente illegittime.
A tal riguardo, il TAR ha correttamente evidenziato che la sentenza della Corte Costituzionale ha unicamente inciso sulle disposizioni legislative sul carattere obbligatorio dell'istituto della mediazione, senza involgere l'istituto in sé, e men che meno le disposizioni che hanno consentito l'emanazione del regolamento per profili diversi e del tutto autonomi rispetto a quelli incisi dalla sentenza di incostituzionalità .
Il fondamento del potere regolamentare va colto nell'articolo 16 del d.lgs. 28/2010, che ha consentito l'emanazione del regolamento volto a disciplinare le modalità di iscrizione e di tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, vale a
dire ambiti di regolazione ben compatibili con un assetto dell'istituto della mediazione considerato come facoltativo e, come tale, evidentemente neutro rispetto alle disposizioni di rango primario dichiarate incostituzionali.
Va pertanto esclusa l'illegittimità derivata del D.M. 180 del 2010 che, con inaccettabile pretesa di automaticità, sussisterebbe per la società appellante.
- D'altro canto, la stessa appellante - per dedurre un collegamento tra l'atto regolamentare e la disciplina di rango primario sull'obbligatorietà della mediazione - ha valorizzaro come indizio qualificato il rigore della disciplina sui requisiti di professionalità, onorabilità e di indipendenza richiesti dalla disciplina regolamentare, che, nel costrutto giuridico dell'appellante, avrebbe senso solo se connesso alla natura obbligatoria della mediazione.
Il Collegio non condivide tale lettura delle disposizioni vigenti, perché i requisiti sulla professionalità, sulla onorabilità e sulla indipendenza non riguardano di per sé la mediazione 'obbligatorià : la necessità di un'adeguata garanzia di preparazione e professionalità in capo agli organismi chiamati a svolgere attività in tale delicato momento permea, invero, di per sé la disciplina della mediazione già in ambito comunitario.
Nel 16° Considerando, la direttiva reca un'esplicitazione raccomandazione per la quale "gli Stati membri dovrebbero incoraggiare, in qualsiasi modo essi ritengano appropriato, la formazione dei mediatori e l'introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione", aggiungendo al successivo paragrafo che "la mediazione sia condotta in un modo efficace, imparziale e competente".
A criteri minimi di qualità fa espresso richiamo anche il paragrafo 18, che rinvia alla raccomandazione della Commissione quanto agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo.
Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e "sensibile" del sistema si ricava anche dall'art. 4 (sulla qualità della mediazione), par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo cui "Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti"), alla cui stregua va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare l'apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate.
E nella stessa disciplina della legge delega, quanto ai principi e criteri direttivi già sopra trascritti, vi è un espresso richiamo ai profili di professionalità, indipendenza e competenza.
- Non rileva in contrario la circolare 12 novembre 2012 del Ministero della giustizia, più volte richiamata dall'appellante, in cui il Ministero, nel riservarsi di approfondire la questione dopo la lettura della sentenza della Corte costituzionale, si è limitato a fornire alcune indicazioni relative ai procedimenti di mediazione obbligatoria già attivati, nonché sui "futuri effetti della suddetta pronuncia potrebbe produrre sulle previsioni del D.M. 180/2010 che verranno ad essere direttamente interessate", circoscrivendoli a marginali profili operativi - disciplinati nell'articolo 7, comma 5 lett. D), 16, comma 4 lett. D) e comma 9 ultimo periodo - che non intaccano l'impianto regolamentare come, invece, preteso dalla società appellante.
- Infondata, poi, è la censura di violazione del diritto europeo.
Dai richiamati atti dell'Unione europea, sopra passati in rassegna, non si desume alcuna esplicita o implicita previsione a favore del carattere obbligatorio dell'istituto della mediazione.
Come evidenziato dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza del 6 dicembre 2012, n. 272), il diritto dell'Unione disciplina le modalità con le quali il procedimento può essere strutturato ("può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro", ai sensi dell'art. 3, lettera a, della direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008), ma non impone e nemmeno consiglia l'adozione del modello obbligatorio, limitandosi a stabilire che resta impregiudicata la legislazione nazionale che rende obbligatoria la mediazione (art. 5, comma 2, della direttiva citata).
In definitiva, la disciplina dell'UE si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale può essere disciplinata dai singoli Stati membri, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie.
- Va condivisa la sentenza appellata anche nella parte in cui evidenzia che, in base all'articolo 16 del decreto legislativo 28 del 2010 (comma 2), sul punto del tutto conforme alle direttive impartite con la legge delega n. 69/2009, il Ministero era tenuto all'adozione del regolamento, funzionale alla piena attuazione della riforma legislativa, non essendo ad essa consentito né di sindacare la legittimità costituzionale delle disposizioni di rango legislativo, né di disapplicarle.
E, comunque, si è evidenziato come non vi sia connessione tra il profilo di incostituzionalità rilevato dalla Corte costituzionale con la sentenza 172 del 2012 e l'ambito di esplicazione del potere regolamentare, contestato in questa sede.
- Per le ragioni che precedono, risultano infondate tutte le censure formulate contro le disposizioni regolamentari, sicché va respinta anche la pretesa risarcitoria azionata.
Nondimeno, sotto tale ultimo profilo, nella condotta dell'Amministrazione non sarebbe, comunque, rinvenibile l'elemento della rimproverabilità .
La rimproverabilità della pubblica amministrazione va individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili (cfr. Cons. Stato, 15 maggio 2018, n. 2882; 30 luglio 2013, n. 4020). La responsabilità va negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; Sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337).
A maggior ragione nessuna rimproverabilità dell'Amministrazione può essere ravvisata, quando un regolamento - per di più nella specie emanato sulla base del parere favorevole del Consiglio di Stato di data 22 settembre 2010 - abbia applicato una legge, pur se questa è stata poi dichiarata incostituzionale.
Per le ragioni che precedono, l'appello va integralmente respinto.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 2003 del 2016, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l'appellante al pagamento delle spese di giudizio, liquidate complessivamente in Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, in favore delle Amministrazioni statali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1° dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti - Presidente
Giovanni Pescatore - Consigliere
Ezio Fedullo - Consigliere
Umberto Maiello - Consigliere, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere