Presenza personale delle parti e condizione di procedibilità alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n.8473/2019

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Con la sentenza n.8473/2019 la Corte di Cassazione si è pronunciata, per la prima volta, sulla questione della obbligatorietà della presenza personale delle parti in mediazione, nonché sul momento in cui può dirsi assolta la condizione di procedibilità ex. art 5 d.lgs. n. 28/2010. Più nello specifico la Corte si è posta due domande: affinchè il tentativo di mediazione si possa ritenere compiuto la parte è tenuta a comparire personalmente davanti al mediatore o può farsi sostituire? Quando si può affermare che il tentativo di mediazione obbligatoria sia utilmente concluso al fine di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità?

Letto 6554 dal 10/04/2019



presenza-personale-delle-parti-e-condizione-di-procedibilita-alla-luce-della-sentenza-della-corte-di-cassazione-n-8473-2019-0-28.jpg RAPPRESENTANZA DELLA PARTE IN MEDIAZIONE: LA GIURISPRUDENZA DI MERITO
 
Fin dall’introduzione dell’istituto della mediazione, la giurisprudenza di merito ha ritenuto la partecipazione personale della parte un elemento fondamentale per il corretto svolgimento del tentativo di conciliazione. Già nel lontano 2014 con una ordinanza che fece scuola, il Tribunale di Firenze affermava: “ la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l'istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L'assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione.”(Tribunale di Firenze, ordinanza del 19/03/2014). La presenza delle parti, dunque, è fondamentale proprio per consentire alle stesse di riattivare quel dialogo che, interrompendosi, ha portato alla nascita di una controversia.
 
Il principio secondo il quale le parti devono essere presenti personalmente alla mediazione ha poi, nel corso degli anni, ottenuto ulteriori conferme(Trib. Reggio Emilia, Sent. 26/06/2017; Trib. Modena, Ord. 02/05/2016, Trib. Roma, Ord. 19/02/2015; Trib. di Bologna, Ord. 05/06/2014).
Da ultimo, da parte di un Tribunale da sempre attento all’istituto disciplinato dal d.lgs. 28/2010: il Tribunale di Vasto. Con la pronuncia del 17/12/2018, il Tribunale abruzzese sembrava aver definitivamente confermato che: da un lato, le parti devono essere presenti personalmente alla mediazione e, dall’altro, le stesse non posso farsi rappresentare nel procedimento dal proprio avvocato difensore: “pensare che la mediazione si possa correttamente svolgere con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore significherebbe frustrare lo spirito dell'istituto. Ciò impedirebbe allo stesso strumento di manifestare le sue notevoli potenzialità, sia sotto il profilo della pacificazione sociale sottesa alla facilitazione di accordi amichevoli, sia sotto il distinto e connesso profilo della deflazione del contenzioso giudiziario" (Tribunale di Vasto, Sentenza del 17/12/2018).
 
Per la giurisprudenza di merito, dunque, il corretto svolgimento della mediazione non può prescindere dalla presenza personale delle parti.
 
RAPPRESENTANZA DELLA PARTE IN MEDIAZIONE: POSSIBILE SE L’AVVOCATO È MUNITO DI APPOSITA PROCURA SOSTANZIALE
 
A ribaltare l’orientamento giurisprudenziale sopra analizzato ci ha pensato, però, la Corte di Cassazione. I Giudici di legittimità sono partiti da una semplice quanto efficace constatazione: la comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore è fondamentale. Ma, allo stesso tempo, data l’assenza di una norma che impone alla parte di essere presente personalmente e tenuto conto del fatto che la partecipazione alla mediazione non è un atto “strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri. Laddove, per la rilevanza delia partecipazione, o della mancata partecipazione, ad alcuni momenti processuali, o per l'attribuzione di un particolare valore alle dichiarazioni rese dalla parte, la legge non ha ritenuto che la parte potesse farsi sostituire, attribuendo un disvalore, o un preciso significato alla sua mancata comparizione di persona, lo ha previsto espressamente (v. art. 231 c.p.c,). Non è previsto, né escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore. Deve quindi ritenersi che la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l ’azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche - ma non solo - dal suo difensore.
 
In quest'ultimo caso, però, è fondamentale che il potere di rappresentanza sia conferito al difensore attraverso una apposita procura speciale sostanziale che contenga "lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto".
 
Non è sufficiente, infatti, la semplice procura alle liti conferita al difensore e da questi autenticata “perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione, non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore".
 
La mediazione è un istituto che mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto. Questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. Nella mediazione è fondamentale, infatti, la percezione delle emozioni nei conflitti e lo sviluppo di rapporti empatici ed è, pertanto, indispensabile un contatto diretto tra il mediatore e le persone parti del conflitto. Il mediatore deve comprendere quali siano i bisogni, gli interessi, i sentimenti dei soggetti coinvolti e questi sono profili che le parti possono e debbono mostrare con immediatezza, senza il filtro dei difensori, cui significativamente la legge attribuisce, in questo ambito, una mera funzione di “assistenza” e non già anche di “rappresentanza”.
La possibilità che l’attività di assistenza vada a fondersi con l’attività di rappresentanza, circostanza che la pronuncia della Cassazione autorizza, potrebbe portare ad un indebolimento di un istituto pensato per rendere le persone autrici del proprio destino e che mira a sovvertire una cultura giuridica che le considera poco capaci di gestire i propri interessi.
 
In conseguenza alla sovrapposizione dei due ruoli, infatti. l’avvocato potrebbe perdere quella posizione di terzietà che deve caratterizzare lo svolgimento della sua attività che deve essere rivolta, in primis, alla cura degli interessi delle parti.
 
CONDIZIONE DI PROCEDIBILITA’: QUANDO SI PUO’ RITENERE SODDISFATTA?
 
Passando all’analisi della seconda questione sopra prospettata la Corte di Cassazione afferma che “l’onere della parte che intende agire in giudizio di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l'avvìo della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all'esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione”.
 
Quindi, per soddisfare la condizione di procedibilità è richiesta: l'attivazione del procedimento di mediazione, la scelta del mediatore, la convocazione della controparte, la comparizione personale davanti al mediatore e la partecipazione al primo incontro. Non si può pretendere, secondo la Cassazione, che la parte compia anche uno sforzo ad impegnarsi in una discussione alternativa rispetto al giudizio.
 
Anche in riferimento alla condizione di procedibilità, però, la Suprema Corte si discosta da quanto sostenuto dalla giurisprudenza di merito ( Tribunale di Firenze, ordinanza del 19/03/2014, Trib. Santa Maria Capua Vetere, Sent. 6 Aprile 2018).
La giurisprudenza di merito è giunta alla conclusione secondo cui la mera partecipazione all'incontro preliminare innanzi al mediatore, avente carattere informativo, non risulta sufficiente ad avverare la condizione di procedibilità.
Infatti, relegare il primo incontro di mediazione ad un incontro avente quale unica funzione quello di consentire alle parti di esprimere la volontà di proseguire o meno con il procedimento, come afferma la Cassazione, significherebbe attribuire al mediatore un ruolo passivo. Lo stesso, dopo aver informato le parti sulle modalità di svolgimento della mediazione, dovrebbe limitarsi a recepire passivamente la decisione delle parti.
 
Da ciò può agevolmente concludersi che se l’idea è quella di attribuire al primo incontro un ruolo meramente informativo non avrebbe nessuna ragione una dilazione del processo civile. La stessa mediazione, infatti, si trasformerebbe in un mera perdita di tempo. A ciò deve aggiungersi che, in tal caso, una sola delle parti potrebbe farsi arbitro assoluto dell’esito della procedura. Basterebbe, infatti, il semplice rifiuto a proseguire della parte istante per far concludere il procedimento di mediazione e ritenere avverata la condizione di procedibilità.
 
La creazione di una cultura della mediazione non dovrebbe essere “forzosa”, come dalla Suprema Corte affermato in un passaggio della sua pronuncia ma, al contrario, coltivata. Solo coltivando la consapevolezza dei vantaggi insiti all’istituto si può, infatti, sperare in una crescita dello stesso. La parola crescita, però, non deve esclusivamente ricollegarsi all’aumento del numero dei procedimenti ma anche, e forse soprattutto, ad un utilizzo più maturo di uno strumento pensato per consentire al cittadino di risparmiare soldi e tempo.
 
Gianmauro Calabrese
 

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