Testo integrale:
CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29030/2020 R.G. proposto da: G Di S - ricorrente
contro
A S I, - controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bari n. 524/2020, depositata in data 15/05/2020, notificata in data il 17 settembre 2020, unitamente al provvedimento di correzione emesso il 15 luglio 2020, pubblicato in data 30 luglio 2020;
Presidente: FRASCA RAFFAELE GAETANO ANTONIO
Relatore: Gorgoni MARILENA
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2023 dal Consigliere MARILENA Gorgoni.
Rilevato che: Formulando cinque motivi, G Di S ricorre per la cassazione della sentenza n. 524/2020 della Corte d'Appello di Bari, resa pubblica il 15 maggio 2020, notificata in data 17 settembre 2020, unitamente al provvedimento di correzione emesso il 15 luglio 2020, pubblicato in data 30 luglio 2020; resiste con controricorso A S I, proprietaria dell’immobile sito in S, II piano, conveniva, dinanzi al Tribunale di Foggia, G di S, conduttore di detto immobile, perché fosse condannato al rilascio dello stesso, stante la disdetta formale inviatagli, al pagamento dell’indennità di occupazione dal mese di gennaio 2012 al mese di luglio 2012, pari a sette mensilità di canone, nonché al pagamento delle quote condominiali e dei consumi idrici; G Di S, costituitosi, contestava la fondatezza in fatto ed in diritto delle domande, perché la disdetta inviata in data 26 maggio 2011 era stata ritirata il successivo 1° giugno 2011 e perché non sussistevano i presupposti di cui all’art. 3, comma 1, lett. a della l. 431/1988; inoltre, con domanda riconvenzionale, chiedeva: a) la condanna di A S I al pagamento della somma di euro 40.339,76 per prestazioni professionali ed a quella di euro 23.000,00 per spese di miglioramento, finiture e opere aggiuntive; b) il riconoscimento dei danni materiali e morali, quantificati in euro 35.000,00 o nella maggior somma accertata; c) la condanna di A S I, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ. e dell’art. 88 cod. proc. civ.; il Tribunale di Foggia dichiarava improcedibile la domanda principale spiegata da A S I per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, accoglieva per quanto di ragione la domanda riconvenzionale di GDi S, riconoscendogli la somma di euro 11.160,00, perché, dopo la disdetta, l’immobile era stato locato a terzi; la Corte d'Appello di Bari, investita del gravame da A S I , con la sentenza qui impugnata, ha accolto parzialmente l’appello, ha riformato la sentenza di primo grado ed ha condannato G di S al pagamento della somma di euro 1.200,00; detta sentenza era stata corretta, accogliendo parzialmente l’istanza di correzione di errore materiale di A S I, disponendo che dopo la locuzione “condanna l’arch.- Di S al pagamento della somma di euro 1.200,00 in suo favore” dovesse aggiungersi “nonché alla restituzione di tutte le somme da questi eventualmente incamerate in esecuzione della condanna disposta dalla sentenza di primo grado, in questa sede totalmente riformata. Spese compensate”; la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte; il ricorrente ha illustrato il ricorso con memoria.
Considerato che:
1) con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n., 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, comma 2°, d.lgs. n. 28/2010; oggetto di impugnazione è la statuizione con cui la Corte d'Appello ha ritenuto eccessivamente formalistica la declaratoria di improcedibilità della domanda di AS I; la Corte d'Appello ha rilevato che: a) il Tribunale aveva posto a carico di entrambe le parti l’onere di attivare la procedura di mediazione, vi aveva provveduto tempestivamente GDi S, trasfondendo nell’istanza, oltre alla domanda di pagamento di somme per le prestazioni professionali rese, anche l’accertamento negativo delle domande proposte dall’attrice sia con riferimento alla tempestività della disdetta sia con riferimento alla sussistenza dei motivi addotti per giustificarla sia con riferimento alla richiesta di compensazione dei canoni di locazione e delle altre somme richieste dalla locatrice con le maggiori somme da lui asseritamente versate; b) A S I aveva partecipato al procedimento di mediazione attraverso il suo rappresentante legale che aveva sottoscritto il verbale di mancato accordo; il motivo è inammissibile, perché la motivazione della sentenza impugnata viene attinta solo per l’affermazione contenuta a pag. 5, in ordine all’eccessivo formalismo della declaratoria di improcedibilità, dovendo badarsi, al fine di individuare la corrispondenza tra domanda giudiziale e oggetto della mediazione, alla sostanziale sovrapposizione tra le medesime, che risulta compresa in un tessuto argomentativo ben più ampio, di cui parte ricorrente non tiene conto; ne segue che il motivo non può dirsi correlato alla motivazione effettivamente enunciata e tanto lo rende inidoneo, giusta il principio di diritto consolidato enunciato da Cass. 11/01/2005, n. 359 e ribadito, ex multis, in motivazione espressa, sebbene non massimata, da Cass., Sez. Un., 20/03/2017, n. 7074, a fornire la rappresentazione dell’errore denunciato, giacché “l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ.”; peraltro, se il motivo fosse da scrutinare meriterebbe le seguenti considerazioni: a) esso omette di considerare che la Corte di merito ha affermato che nella relativa istanza venne trasfusa l’intera comparsa di costituzione, che, evidentemente per la sua stessa funzione, non poteva che replicare alla domanda principale, con conseguente estensione ad essa della richiesta mediatoria; b) omette, altresì, la considerazione del rilievo della Corte barese che l’istanza aveva attinto in via negativa la fondatezza dell’avversa domanda, il che, in altri termini significa che, adendo l’organismo di mediazione, il ricorrente aveva devoluto alla sua conoscenza l’intero rapporto oggetto di causa e non solo la propria domanda riconvenzionale; c) comunque la prospettazione del ricorrente, secondo cui l’avere attivato la procedura mediatoria sulla sua riconvenzionale comporterebbe la procedibilità solo della domanda riconvenzionale, sarebbe priva di pregio, perché allorquando il giudice rilievi l’improcedibilità, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, in un giudizio nel quale siano state introdotte una domanda principale ed una domanda riconvenzionale e inviti le parti a procedere alla mediazione (mediazione demandata), l’esistenza della connessione fra domanda principale e domanda riconvenzionale esclude che la richiesta mediatoria proveniente dal solo attore o dal solo convenuto proponente la riconvenzionale possa intendersi limitata all’una o all’altra; l’iniziativa di una delle parti non può essere tale da far venir meno la connessione tra le due domande, sicché anche se la parte dichiari – in ipotesi – voler ricorrere alla mediazione solo sulla propria domanda, l’attivazione del procedimento mediatorio si deve ritenere estesa all’intero cumulo processuale;
2) con il secondo motivo è denunciata, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, rappresentato dalla disdetta datata 26 maggio 2011, ricevuta il 31 maggio e ritirata in data 1° giugno 2011 che aveva rappresentato la causa del rilascio dell’immobile locato; non avendone tenuto conto, la Corte territoriale era giunta alla conclusione che egli avesse lasciato l’appartamento spontaneamente, pur nella consapevolezza che esso si fosse rinnovato per altri quattro anni; il ricorrente sostiene che la lettura delle raccomandate scambiate tra le parti - quella del 4 ottobre 2011 ove si leggeva “a ogni buon conto prendo atto della volontà manifestata e mi attiverò in tempi congrui per lasciare libero l’immobile de quo appena possibile e dopo l’integrale rimborso, stante il recesso alla prima scadenza, di tutte le somme documentate e dettagliate ..” e quella dell’1 agosto 2012, con cui la locatrice gli rappresentava che l’immobile era detenuto sine titulo e lo invitava a riconsegnarne le chiavi, e dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, condurrebbe alla conclusione opposta rispetto a quella della Corte d'Appello; il motivo è inammissibile, in quanto non deduce l’omesso esame di un fatto, ma: a) sollecita un apprezzamento della raccomandata del 4.10.2011, che si dice consegnata il 1°.10.2011 e che dovrebbe coincidere con quella che la sentenza indica come 10.10.2011: è evidente che il documento e, dunque, le dichiarazioni in essa contenute, sono stati considerati dalla sentenza impugnata (cfr. p. 7); l’ubi consistam della censura sollecita, dunque, un diverso esame degli accertamenti già compiuti dal giudice a quo, sicché deve escludersi, Secondo un orientamento consolidato, che possa pretendersi da questa Corte una nuova valutazione del materiale probatorio che costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito, essendo, a seguito della riformulazione dell'art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali; b) evoca un documento, la raccomandata del 1° agosto 2012 (che indica come prodotto in questa sede come doc. H), senza precisare se e dove esso era stato introdotto nel giudizio di merito e se e dove il suo contenuto era stato oggetto di attività deduttiva; la censura risulta, quindi, formulata in maniera generica e senza soddisfare l'onere di indicare il dato extratestuale dal quale evincere la esistenza del fatto omesso nonché il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione tra le parti (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); ciò non consente di attribuire al fatto asseritamente omesso i caratteri del tassello mancante alla plausibilità cui è giunta la sentenza rispetto a premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario;
3) con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., per avere la Corte d'Appello ritenuto che egli avesse rinunciato ad avvalersi dell’art. 3 della l. n. 431/1998 ed avesse rilasciato l’immobile senza far valere i suoi diritti, omettendo di indicare da dove avesse tratto tale convinzione, e senza considerare che solo un anno dopo il rilascio dell’immobile aveva appreso che l’immobile era stato locato a terzi; il motivo è inammissibile, perché – a parte la sua assertorietà – si risolve nella prospettazione di una valutazione fattuale alternativa a quella della sentenza impugnata, atteso che deduce la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. senza rispettare i criteri indicati da Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867, secondo cui la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. implica l’allegazione che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione;
4) con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 3 della l. n. 431/1998; la sua tesi è che la Corte d'Appello, negando applicazione all’art. 3 della l. 431/1998, non avrebbe tenuto conto del contratto stipulato con terzi in data 25 luglio 2013, da cui avrebbe dovuto evincere che l’immobile, una volta restituito, non era stato adibito agli usi per cui era stata esercitata la disdetta; la disdetta, quindi, avrebbe dovuto essere considerata inefficace; il motivo è assorbito dal mancato accoglimento del motivo precedente, dato che risulta consolidata la motivazione della sentenza nel senso che il rilascio avvenne “per l’esistenza di comuni accordi” e per “l’esistenza di una comune e consapevole volontà diretta al rilascio dell’immobile…completamente al di fuori del paradigma dell’art. 3 l. 431/1998” (pag. 7 della sentenza); 5) con il quinto motivo, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 4 cod. proc. civ., è dedotta la nullità della sentenza per contrasto tra la motivazione – con cui venivano accolte parzialmente la domanda di pagamento dei canoni e degli accessori, da un lato, e la domanda di compensazione, dall’altro - e il dispositivo – ove veniva disposto l’accoglimento dell’appello per quanto di ragione e, in totale riforma della sentenza di primo grado, si diceva che era parzialmente accolta la domanda della Sig.a Irmici –; contrasto che il ricorrente ritiene non fosse superabile facendo prevalere il dispositivo; ciononostante, la Corte d'Appello in violazione dell’art. 288 cod. proc. civ. aveva accolto parzialmente l’istanza di correzione materiale, pur non ricorrendone i presupposti, costituiti dalla sussistenza di una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressone letterale, percepito e rilevabile ictu oculi senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva della volontà del giudice il motivo non merita accoglimento, risultando inammissibile per due gradate ragioni; occorre premettere che la procedura di correzione degli errori materiali, di cui all'art. 287 cod. proc. civ. e ss., è stata oggetto di un'interpretazione estensiva da parte di questa Corte (Cass., Sez. Un., 07/07/2010, n. 16037, al fine di salvaguardare l'effettività del principio di garanzia della durata ragionevole del processo (come previsto dall'art. 111, 2° comma, Cost.), che impone al giudice (anche nell'interpretazione dei rimedi processuali) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, traducendosi, per converso, in un inutile dispendio di attività processuali non giustificate, in particolare, né dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio (art. 101 cod. proc. civ.), né da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.), salvo il diritto all'esercizio degli ordinari rimedi impugnatori che, ai sensi dello stesso art. 288, 4° comma, cod. proc. civ. possono essere proposti relativamente alle parti corrette delle sentenze; in particolare - prendendo le distanze dall'indirizzo più restrittivo, in forza della quale il procedimento di correzione è invocabile quando sia necessario ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, cagionato da mera svista o disattenzione nella redazione del provvedimento e, come tale, percepibile ictu oculi - questa Corte ritiene che il carattere "necessitato" dell'elemento mancante e da inserire giustifichi la correzione integrativa dell'atto anche per le statuizioni che, pur non risultando con certezza volute dal giudice, dovevano essere da lui emesse, senza margine di discrezionalità, in forza di un obbligo normativo ed estende tale conclusione a qualsiasi errore, anche non omissivo che derivi dalla necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale; deve ammettersi dunque che l'ordine di restituzione possa essere oggetto, quanto alla sentenza di riforma, del procedimento di correzione materiale, ai sensi dell'art. 287 cod. proc. civ., allorché il giudice non vi abbia provveduto, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, atteso che la condanna alle restituzioni rimane sottratta a qualunque forma di valutazione giudiziale ed "accede" al decisum complessivo della controversia, senza, in fondo, assumere una propria autonomia formale: l'omissione stessa si collega, in sostanza, ad una mera disattenzione e, quindi, ad un comportamento involontario, sia nell'an e sia nel quantum del provvedimento; la Corte di merito, nell’ordinanza dispositiva della correzione, ha fatto applicazione di tali principi generali, richiamando espressamente il principio di diritto specifico per il caso di correzione disposta in ragione dell’omissione di provvedimento sulle richiesta di restituzione, enunciato da Cass. 12/02/2016, n. 13 2819 del 2016 (secondo cui: “È ammissibile, alla stregua dell'interpretazione estensiva degli artt. 287 e ss. c.p.c., l'utilizzazione del procedimento di correzione degli errori materiali qualora il giudice del gravame, riformando la sentenza appellata, ometta, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in esecuzione di quest'ultima, atteso che una siffatta condanna è sottratta a qualunque forma di valutazione giudiziale, sicché sono configurabili i presupposti di fatto che giustificano la correzione e la relativa declaratoria necessariamente ‘accede’ al ‘decisum’ complessivo della controversia, senza assumere una propria autonomia formale, collegandosi l'omissione ad una mera disattenzione. L'ordinanza di correzione, inoltre, in quanto priva di contenuto decisorio, non è impugnabile, neppure con il ricorso ex art. 111 Cost., tale rimanendo, invece, con lo specifico mezzo di volta in volta previsto, solo la sentenza corretta”); tale principio di diritto è stato successivamente ribadito da Cass. 03/07/2019, n. 17764 (secondo cui: “È ammissibile il ricorso per cassazione contro la decisione del giudice che, in violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., nell'accogliere l'appello avverso sentenza provvisoriamente esecutiva di condanna, ometta di ordinare la restituzione di ciò che è stato corrisposto in forza della pronuncia riformata, benché la relativa domanda fosse stata ritualmente introdotta con l'atto di gravame. Peraltro, ove la condanna alle restituzioni sia sottratta a qualunque forma di valutazione giudiziale sia nell'’an’ sia nel ‘quantum’ del provvedimento, può essere azionata anche la procedura di correzione dell'errore materiale, dovendosi ritenere che i due rimedi, qualora la statuizione acceda al ‘decisum’ della controversia e non siano necessarie ulteriori indagini o determinazioni sostanziali, siano fra loro alternativi”); la Corte di merito ha spiegato le ragioni che nella specie ne giustificavano l’applicazione; ora, nell’illustrazione del motivo parte ricorrente si astiene dallo svolgimento di una critica alla motivazione così articolata; è evidente che il motivo di ricorso contro la decisione, essendo diretto a contestare la legittimità dei suoi presupposti, si sarebbe dovuto articolare con una critica alle ragioni supposte dal richiamato principio di diritto e/o quanto alla pertinenza del medesimo nella specie, mentre, invece, il motivo si astiene sia dall’una che dall’altra critica e si risolve nel mero richiamo di principi di diritto enunciati da questa Corte, senza alcuna spiegazione del perché essi confliggerebbero con quello applicato nella detta ordinanza; ne segue che sussiste la causa di inammissibilità del motivo indicata dal consolidato principio di diritto di cui a Cass. 11/01/2005, n. 359, principio ribadito in motivazione espressa, sebbene non massimata, da Cass., Sez. Un., 20/03/2017, n. 7074; il Collegio osserva, comunque, che, se anche si volesse – per absurdum – al motivo carattere di critica alla motivazione basata sul detto principio di diritto, il motivo in esame sarebbe inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis n. 1 c.p.c., giacché parte ricorrente non avrebbe offerto argomenti per porre in discussione la giurisprudenza di questa Corte richiamata dal giudice di merito, atteso che, come si è detto, esso non viene nemmeno considerato; la rilevata gradata duplice inammissibilità del motivo esime dal prendere posizione sull’eccezione formulata nel controricorso circa il decorso del termine breve dalla comunicazione di cancelleria; 6) il ricorso va rigettato; 7) le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
8) si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 04/04/2023.