Testo integrale:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Milano
TREDICESIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott.ssa Francesca Savignano ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al N. 3433/2021 R.G. promossa da:
I.XX S.R.L. OPPONENTE
contro
G.XX SRL OPPOSTA
OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo.
CONCLUSIONI PARTE OPPONENTE: "Voglia I’ll'mo Tribunale adito, contrariis et rejectis: In via preliminare nel merito: - Previo accertamento della infondatezza delle richieste per intervenuta risoluzione del contratto, della prova scritta fornita e per i motivi esposti in fatto ed in diritto di cui al presente atto e di cui alla opposizione a decreti ingiuntivi, revocare il decreto ingiuntivo n. 19009-2020 rgn 36580- 2020 e per l'effetto condannare la G. srl alla restituzione totale delle somme versate o nella maggiore o minore somma che il giudice riterrà di giustizia. - Accogliere l'opposizione della I.XX s.r.l. e per l'effetto revocare/annullare, nonché dichiarare privo di qualsiasi effetto giuridico il decreto ingiuntivo n. 14136/2020 RG n. 21189/2020 emesso dal Tribunale Ordinario di Milano, per i motivi esposti in fatto e in diritto. - Rigettare la richiesta di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto n. n. 14136/2020 RG n. 21189/2020 - Accertare e dichiarare per eccessiva onerosità sopravvenuta ed impossibilità della prestazione e la risoluzione del contratto di locazione commerciale registrato in Milano 5 il 12.10.2011 al n. 8948 serie 1T a far data dal mese di marzo 2020 e per l'effetto dichiarare che nulla sia dovuto da I.XX s.r.l. alla G. s.r.l. dal mese di marzo 2020 e sino al rilascio effettivo dei locali commerciali; - Nella denegata e non creduta ipotesi in cui il Giudice ritenesse che la I.XX s.r.l. sia debitrice nei confronti della G. s.r.l. si chiede sin da ora che le somme versate ad oggi dalla I.XX s.r.l. a favore della G.XX s.r.l. vengano tenute in compensazione sul maggior dovuto. In via subordinata nel merito - Accogliere l'opposizione e per l'effetto revocare/annullare, nonché dichiarare privo di qualsiasi effetto giuridico i decreti ingiuntivi n. 14136/2020 RG n. 21189/2020 e n. 19009-2020 rgn 36580-2020 emessi dal Tribunale Ordinario di Milano, per i motivi esposti in fatto e in diritto. - Accertare e dichiarare la risoluzione del contratto di locazione commerciale registrato in Milano 5 il 12.10.2011 al n. 8948 serie 1T per mutuo consenso dal mese di novembre 2020; - Accertare e dichiarare l'impossibilità della prestazione a causa dell'emergenza Covid 19 e per l'effetto dichiarare una riduzione del canone di locazione dal mese di Marzo 2020 al mese di ottobre 2020 nella misura del 70%.
In ogni caso - accertare e dichiarare l'abuso del processo da parte della G. Srl per violazione dell'art. 88 cpc nell'utilizzo dello strumento processuale e per l'effetto condannare la stessa ai sensi dell'art 92 cpc al rimborso delle spese ed al risarcimento del danno secondo quanto il giudice dovesse ritenere di giustizia nei limiti di competenza del Giudice adito; - condannare la G. s.r.l. ai sensi dell'art. 96 c.p.c. per lite temeraria per le ragioni di cui in narrativa. - condannare la G. s.r.l. ai sensi dell'art. 8 del d. lgs 28/2010 al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio; In via Istruttoria, con ogni e più ampia riserva di ulteriormente dedurre, eccepire, produrre, formulare istanze istruttorie nonché di produrre documenti nei modi e nei termini stabiliti dalla legge anche in relazione al comportamento processuale di controparte. Con vittoria di spese e compensi, oltre oneri e accessori di legge quali IVA, C.p.a. e rimborso forfettario nella misura del 15%.".
PARTE OPPOSTA: "in via preliminare/pregiudiziale Dichiarare l'inammissibilità/improcedibilità dell'opposizione in relazione al Decreto Ingiuntivo n. 14136/2020 R.G. 21189/2020 per tardività della stessa con conseguente passaggio in giudicato del medesimo decreto ingiuntivo ordinando l' apposizione della relativa formula esecutiva; Dichiarare l'incompetenza del Giudice adito in favore del Collegio Arbitrale previsto dalla clausola q) del contratto di affitto di ramo d'azienda inter partes relativamente alle domande di risoluzione proposte ex adverso; Nel merito: - Previo accertamento della infondatezza delle pretese avversarie, rigettare in toto le domande svolte da parte attrice opponente contro G.XX S.r.l. per i motivi di cui in narrativa e per l'effetto confermare i decreti ingiuntivi opposti in ogni sua parte con condanna in ogni caso di I.XX S.r.l. al versamento a favore di G.XX S.r.l. dell'importo di 18.544, 00= per il decreto n. 14136/2020 R.G. 21189/2020 e di 18.544, 00= per il decreto n. 19009/2020 R.G. 36580/2020 o del maggiore o minore importo che sarà accertato come dovuto in corso di causa, oltre interessi di mora ex art. 5 del D.lgs. 231/02. Con vittoria di spese e compensi di causa".
1. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e dei motivi in diritto
Con citazione regolarmente notificata I.XX S.R.L. ha proposto opposizione avverso i decreti ingiuntivi n. 14136/2020 (R.G. n. 21189/2020) e n. 19009/2020 (RG n. 36580/2020), quest' ultimo provvisoriamente esecutivo, con ciascuno dei quali questo Tribunale ha ad essa ingiunto il pagamento, in favore di G.XX SRL, della somma di 18.544, 00, oltre interessi e spese, a titolo di quattro mensilità del canone (da marzo a giugno 2020, il primo decreto, e da luglio ad ottobre 2020, il secondo) relativo all'affitto del ramo di azienda avente ad oggetto l'attività di birreria-pub con tavola fredda, esercitata in Milano, XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX 62.
L'opponente ha esposto che, a seguito della pandemia da coronavirus, il 22 aprile 2020, il suo legale aveva comunicato all'opposta "non solo la contrazione economica a cui i DPCM stavano costringendo le attività commerciali, ma anche l'alterazione dell'equilibrio patrimoniale delle prestazioni contrattuali per eccessiva onerosità della prestazione, chiedendo sin da allora la risoluzione del contratto e in subordine dando alla stessa valore di recesso contrattuale".
In seguito, G.XX srl aveva notificato il primo decreto ingiuntivo ed essa aveva attivato la procedura di mediazione, ma l'opposta non si era presentata all'incontro; avendo l'opponente formulato una proposta conciliativa, l'Organo di mediazione aveva fissato un successivo incontro, comunicato a G.XX srl.
Nelle more, il 30 ottobre 2020, le parti si erano incontrate per la restituzione dell'azienda e dell'immobile, ricompreso tra i beni aziendali affittati, nel quale l'attività commerciale veniva esercitata.
L'opposta aveva notificato, prima del secondo incontro di mediazione, l'altro decreto ingiuntivo opposto.
Ha lamentato la mala fede della creditrice opposta per aver chiesto il secondo decreto ingiuntivo nelle more della procedura di mediazione avviata a seguito della notificazione del primo decreto ingiuntivo e per non essersi presentata innanzi all'Organo di mediazione.
Ha allegato che la mancata partecipazione della controparte, senza giustificato motivo, alla procedura di mediazione, ne comporta la condanna al versamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato e consente al giudice di desumere argomenti di prova ex art. 116, secondo comma, cpc, ai fini della decisione della causa.
Ha eccepito l'abuso del diritto della controparte, per aver frazionato il credito e parcellizzato le domande giudiziali, chiedendo due decreti ingiuntivi in relazione ad un unico rapporto contrattuale, così aggravando la sua posizione processuale senza il perseguimento di un interesse lecito ed anzi in violazione del principio del giusto processo ("Dopo la notifica del primo decreto ingiuntivo, in pendenza della mediazione avviata dalla I.XX, anticamera necessaria in quanto condizione di procedibilità di un giudizio che avrebbe portato alla riscrittura dei termini e del contenuto obbligatorio di ciascuna parte, la G.XX srl al solo fine di aggravare la posizione debitoria della I.XX srl deposita nuovo decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, notificato il 23 dicembre 2020 ovvero poco prima della pausa natalizia, sì da costringere l'odierna opponente a depositare nei 10 giorni successivi il presente atto per scongiurare l'esecuzione"). Ha dedotto che "lo shock economico da pandemia " E le misure di contenimento della stessa, adottate dalle Autorità, hanno imposto la chiusura dell'esercizio commerciale ed hanno comportato limitazioni tali all'esercizio dell'attività imprenditoriale da provocare una eccessiva sproporzione tra le reciproche prestazioni, ed anche invocato la speciale esimente da responsabilità prevista dall’art. 91, comma 1, del D.L. n. 18/2020. Ha allegato, altresì, l'impossibilità parziale e temporanea della prestazione ed ha chiesto, in subordine, la riduzione del canone, ai sensi degli articoli 1256 e 1464 c.c., nella misura del 70%.
Ha concluso per la revoca di entrambi i decreti ingiuntivi opposti, previa sospensione di quello dichiarato provvisoriamente esecutivo, ed ha chiesto, nel merito ed in via principale, la dichiarazione di risoluzione del contratto di affitto di azienda per eccessiva onerosità sopravvenuta ovvero per effetto del suo recesso, con conseguente declaratoria che nessun canone è dovuto da marzo 2020 al rilascio dell'immobile. In subordine, ha chiesto di dichiarare risolto il contratto per mutuo consenso, a decorrere dal mese di novembre 2020, e di ridurre il canone nella misura del 70%, per il periodo marzo-ottobre 2020.
Infine, ha chiesto di accertare la condotta abusiva della controparte e di condannarla al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'art. 92 cpc, nonché al risarcimento del danno per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 cpc, oltre che al versamento a favore dello Stato di un importo pari al contributo unificato.
La parte opposta si è costituita in giudizio ed ha dedotto, in rito, la inammissibilità, per tardività, dell'opposizione proposta avverso il decreto n. 14136/2020, con conseguente passaggio in giudicato del medesimo, stante la inidoneità della domanda di mediazione ad interrompere il termine di legge per la sua proposizione. Ha eccepito l'incompetenza dell'autorità giudiziaria in merito alle domande di risoluzione contrattuale, in forza della clausola arbitrale pattuita alla lettera q) del contratto di affitto d' azienda; ha allegato che l'affittuaria aveva, prima del giudizio, promosso il giudizio arbitrale finalizzato alla pronuncia della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, ma senza poi coltivarlo.
Nel merito, ha fornito una versione dei fatti parzialmente diversa, dichiarando che essa si era della disponibile a discutere la rinegoziazione del canone per il periodo di chiusura degli esercizi commerciali, ma a fronte del pagamento della mensilità di marzo 2020, che le era necessaria quale "provvista parziale per poi provvedere al pagamento anticipato del trimestre aprile-giugno 2020 alla proprietà dei locali", a titolo di canoni di locazione dell'immobile nel quale l'attività imprenditoriale veniva esercitata, essendone conduttrice. Tuttavia, le trattative si erano subito arenate giacché l'opponente aveva immediatamente affidato la pratica al legale, il quale aveva comunicato la risoluzione del contatto per eccessiva onerosità sopravvenuta e, in subordine, il recesso da esso.
Lamentava che la condotta avversa le aveva recato gravi pregiudizi, consistenti sia nell'aver dovuto versare l'IVA sui canoni da marzo ad ottobre 2020, che non aveva incassato, sia nella perdita dell'avviamento, avendo l'affittuaria mantenuto chiusa l'attività anche dopo il 18 maggio 2020, quando ne era stata consentita la riapertura, e fino alla riconsegna, sia, infine, per aver quest'ultima frapposto ostacoli alle visite di terzi interessati a rilevare l'attività.
Ha contestato la sussistenza della dedotta eccessività sopravvenuta, evidenziando che l'affittuaria deliberatamente e per propria esclusiva scelta imprenditoriale, aveva deciso di non riaprire più l'attività commerciale, restituendo l'azienda il 30 ottobre 2020.
Previo rigetto dell'istanza ex art. 649 cpc relativa al primo decreto opposto e previa concessione della provvisoria esecutività al secondo, ha concluso: - per la declaratoria di inammissibilità, per tardività, dell'opposizione proposta avverso il d.i. n. 14136/2020 e per quella di definitiva esecutorietà dello stesso, passato in giudicato, - per l'incompetenza di questo Tribunale, in favore degli arbitri, sulle domande avverse di risoluzione contrattuale, - per il rigetto dell' opposizione proposta avverso il d.i. n. 19009/2020, essendo il credito ingiunto relativo a mesi (luglio-ottobre 2020) nei quali l' esercizio dell'attività commerciale non era stata preclusa dai provvedimenti emergenziali emessi dalle Autorità pubbliche.
Il giudice, esclusa la tardività dell'opposizione, non ha concesso la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo n. 14136/2020, sul presupposto che il credito non appariva dovuto nella interezza; ha, al contempo, rigettato l'istanza di sospensione della provvisoria esecutività del d.i. n. 19009/2020, perché concernente canoni maturati in un arco temporale in cui era consentita la riapertura degli esercizi commerciali.
Ha, inoltre, disposto il mutamento del rito nelle forme di quello locatizio, ai sensi degli articoli 447 bis e 426 cpc, vertendo la causa in materia di locazione immobiliare ed essendo stata erroneamente introdotta con citazione.
Entrambe le parti hanno depositato memorie integrative.
All'odierna udienza la causa, istruita documentalmente, è stata discussa e decisa, mediante pubblica lettura del dispositivo della sentenza, con termine di trenta giorni per il deposito della motivazione.
2. Sulla tempestività dell'opposizione avverso il d.i. n. 14136/2020.
L'opposizione è ammissibile.
A mente dell'art. 5, comma 6, d. lgl. n. 28/2010, "Dal momento della comunicazione alle altre parti, ... la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo Il presso la segreteria dell'organismo". La giurisprudenza di legittimità, formatasi in tema di domanda di equa riparazione del danno e di impugnativa di delibera condominiale, ha, da tempo, chiarito la natura degli effetti che la domanda di mediazione produce, che sono di tipo interruttivo e non sospensivo, in deroga al disposto dell'art. 2964 c. c. Per Cass. n. 27551/2018, "La domanda di mediazione comunicata entro il termine semestrale ex art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 impedisce, "per una sola volta", ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, la decadenza dal diritto di agire per l'equa riparazione, potendo quest'ultimo essere ancora esercitato, ove il tentativo di conciliazione fallisca, entro il medesimo termine di sei mesi, decorrente "ex novo" dal deposito del verbale negativo presso la segreteria dell'organismo di mediazione" (in termini, Cass. n. 2273/2019, n. 27251/2018).
Già in precedenza si erano implicitamente espresse, in senso analogo, le sezioni unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 17781/2013), le quali avevano riconosciuto "l'effetto della istanza di mediazione d'interruzione della prescrizione e di impedimento per una sola volta della decadenza dal diritto di agire".
Il principio ha portata generale e deve ritenersi valido per qualunque termine decadenziale, compreso quello previsto per la proposizione dell'opposizione avverso decreto ingiuntivo: la decadenza è impedita dalla comunicazione alle parti della domanda di mediazione nel termine previsto dalla legge per la proposizione dell'opposizione stessa. Nel caso in esame l'affittuaria opponente ha introdotto la procedura di mediazione con domanda comunicata alle parti in data 16.10.2020, vale a dire prima della scadenza del Termine di quaranta giorni per la proposizione dell'opposizione, decorrente dalla notificazione del decreto ingiuntivo, avvenuta il 10.9.2020, ed ha poi depositato l’atto di citazione mentre la procedura di mediazione era ancora in corso.
Nessuna decadenza è maturata a suo carico e l'eccezione deve esser rigettata.
3. Sulle domande riconvenzionali di risoluzione contrattuale proposte dall'opponente.
L'opposta G.XX srl ha eccepito l'incompetenza dell' autorità giudiziaria in merito alle domande risolutorie formulate dall'opponente, alla luce della clausola pattuita alla lettera q) del contratto, che recita: Qualunque contestazione dovesse insorgere tra le parti in ordine alla interpretazione, esecuzione, risoluzione del presente contratto, eccezion fatta per le controversie relative al mancato pagamento del canone di affitto che resterà riservata alla giurisdizione del Giudice Tribunale Ordinario, qualora non si definisse amichevolmente, sarà demandata al giudizio inappellabile di un collegio arbitrale.
Il collegio arbitrale sarà costituito a richiesta di una delle parti e la domanda dovrà essere inoltrata con lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il collegio sarà composto da tre arbitri, dei quali due nominati uno da ciascuna delle parti ed un terzo arbitro, con funzioni di presidente, verrà nominato di comune accordo dei primi due, entro dieci giorni dalla loro nomina, ed in caso di mancato accordo, dal Presidente della Camera di Commercio di Milano su istanza di una sola delle parti contraenti e del suo arbitro. Nel caso in cui una delle parti contraenti non provvedesse alla nomina del proprio arbitro nel termine di venti giorni dalla richiesta della parte, vi provvederà, su istanza della parte interessata, il Presidente della Camera di Commercio di Milano; gli arbitri decideranno secondo equità ed avranno preciso mandato di risolvere, sentite le parti, le indicate controversie, esaminandole senza formalità alcuna e formulando le deduzioni finali senza l' obbligo di motivazioni entro 60 (sessanta) giorni.
La decisione arbitrale, che avrà anche compito di stabilire le spese di giudizio e di indennizzo a carico della parte soccombente, sarà definitiva ed inappellabile, pienamente vincolante tra le parti, come se fosse tra loro un diretto accordo transattivo. Si tratta di arbitrato irrituale, avendo le parti espressamente previsto che gli arbitri decideranno secondo equità e senza formalità e che la decisione sarà inappellabile e vincolante al pari di un accordo transattivo, e non di una sentenza giudiziale.
Alla luce della chiara volontà delle parti, quale si evince dall'inequivoco tenore letterale del citato patto negoziale, confermata dal comportamento processuale della parte opponente, che non ha in alcun modo contestato l'eccezione avversa e nulla ha replicato sul punto, le domande riconvenzionali di risoluzione del contratto, compresa quella fondata sul recesso esercitato dall'affittuaria, sono improponibili, essendo state demandate al Collegio arbitrale.
4. Sul merito dell'opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. d.i. n. 14136/2020.
Il credito ingiunto concerne i canoni di affitto d' azienda, nel quale è compreso il corrispettivo per il godimento dell'immobile nel quale essa è esercitata, maturati da marzo a giugno 2020 (Sentenza n. 9599/2021 pubbl. il 31/12/2021 RG n. 3433/2021).
L' affittuaria asserisce di aver legittimamente sospeso il pagamento del canone e di nulla dovere a titolo di corrispettivo negoziale, stante l'eccessiva sproporzione tra le prestazioni, che avrebbe alterato il sinallagma contrattuale; alternativamente, ha dedotto lo scioglimento del rapporto per effetto del recesso da essa comunicato il 22 aprile 2020.
In subordine, ha chiesto di ridurre il canone nella misura del 70%, per impossibilità sopravvenuta parziale e temporanea.
4.1. Le controversie concernenti il mancato pagamento del corrispettivo sono state espressamente escluse dalla competenza arbitrale per volontà dei contraenti e, dunque, le domande dell'opposta di condanna al pagamento del canone di affitto e quella, subordinata, formulata dall'opponente di riduzione del relativo importo, per impossibilità sopravvenuta, parziale e temporanea della prestazione avversa, possono essere esaminate nel presente giudizio.
Vero è che la domanda di accertamento della non debenza dei canoni, in quanto fondata sulla risoluzione, a vario titolo, del contratto, presuppone logicamente e giuridicamente lo scioglimento del contratto, la cui declaratoria è devoluta agli arbitri, come sopra detto.
Tuttavia, in caso di arbitrato, non è configurabile l'istituto della sospensione del giudizio per pregiudizialità (cfr. Cass. n. 2335/2020: "l'art. 819 ter c.p.c. dispone espressamente che nei rapporti tra arbitrato e processo giudiziario non si applica l'art. 295 c.p.c., come già affermato dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità (Cass. 783/2016; Cass. 16995/2007: "Il rapporto di pregiudizialità tra due controversie, che impone al giudice di sospendere il processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c., ricorre solo quando la decisione della prima influenzi la pronuncia che deve essere resa sulla seconda, nel senso che sia idonea a produrre effetti relativamente al diritto dedotto in lite e che possa, quindi, astrattamente configurarsi il conflitto tra giudicati. Ne consegue che la natura privata dell'arbitrato e del provvedimento che ne deriva, escludendo il pericolo di un contrasto di giudicati, impedisce anche la possibilità per il giudice di sospendere la causa in attesa della definizione di una lite pendente davanti agli arbitri o in relazione alla quale sia prevista la definizione a mezzo di arbitrato"; Cass. 20351/2005; Cass. 4943/2001) stante la natura negoziale dell'arbitrato". In ogni caso, è pacifico che la controversia instaurata dall'opponente innanzi agli arbitri per la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità è stata abbandonata dall'opponente (circostanza riferita dall'opposta e non contestata dalla controparte).
Ne consegue che l'accertamento sulla sussistenza o meno della eccessiva onerosità sopravvenuta e sullo scioglimento del contratto deve essere effettuato incidentalmente in questo giudizio ed ai soli fini di verificare la fondatezza della domanda di accertamento negativo dei canoni, con esclusione di qualunque pronuncia risolutoria.
Ciò detto, l'eccessiva onerosità è configurabile in caso di sopravvenuta sproporzione di valori che rende una prestazione non più sufficientemente remunerata dall'altra e, quindi, allorché una prestazione è divenuta più costosa o più onerosa, rispetto all'epoca di sottoscrizione del contratto, ovvero la controprestazione ha subito una diminuzione di valore. Le variazioni di valore che non sono eccezionali rientrano nella normale alea contrattuale, pur se determinate da eventi imprevedibili, e non giustificano la risoluzione.
Nella fattispecie non emerge, dalle risultanze processuali, che il valore dell'affitto di azienda, ovvero anche solo quello locativo dell'immobile, abbiano subito variazioni, tanto meno significative, e comunque nessun elemento, in tal senso, è stato fornito e, ancor prima, allegato dall'opponente. Il mancato assolvimento dell'onere probatorio relativo alla sussistenza dei presupposti legali previsti dall'art. 1467 c.c., a prescindere da ogni altra considerazione che per esigenze di economia processuale si omette, è ostativa all'accoglimento della domanda di accertamento negativo dell'esistenza dell'obbligazione pecuniaria vantata dall'opposta.
E', poi, irrilevante, in concreto, stabilire se il contratto si è sciolto per recesso dell'affittuaria, atteso che il canone è dovuto per tutto il periodo di preavviso, stabilito contrattualmente in sei mesi dalla comunicazione (lett. c) del contratto), avvenuta il 22 aprile 2020, e quindi fino ad ottobre 2020.
4.2. La domanda di riduzione del canone per impossibilità parziale e temporanea della prestazione merita, invece, accoglimento nei termini che di seguito si espongono.
Questo Tribunale ha già affermato in materia di locazioni commerciali (sentenza n. 4651/2021) che, con le disposizioni emergenziali emesse per far fronte alla pandemia in corso (DPCM Il marzo 2020, successivamente prorogato), il Governo e la Regione hanno disposto la chiusura degli esercizi commerciali (e , in generale, delle attività produttive e professionali) che non svolgono attività inerenti servizi e beni di prima necessità, dal 9 marzo al 17 maggio 2020, in attuazione del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti per evitare la diffusione del Covid-19), convertito con modificazioni in L. 5 marzo 2020, n. 13, che ha imposto alle autorità competenti di adottare i provvedimenti necessari a contenere l'epidemia, fra le quali espressamente "la chiusura di tutte le attività commerciali esclusi gli esercizi commerciali per l'acquisto dei beni di prima necessità" (art. 1 , lett. j), nonché "la sospensione delle attività lavorative per le imprese a esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare" (art. 1 , lett. n). Per effetto del cosiddetto lock-down disposto con i provvedimenti richiamati da I.XX srl (doc. 2) , ai conduttori di immobili adibiti ad uso commerciale è stata inibita l'utilizzazione del bene locato per lo svolgimento di attività ritenute non essenziali', in forza di ordine dell' Autorità (factum principis), e che ciò ha comportato senz' altro una compressione nel godimento dell'immobile, sotto il profilo non della sua detenzione (che è rimasta al conduttore), quanto piuttosto della sua utilizzazione secondo la destinazione negoziale, entrambe prestazioni che rientrano nell'obbligo del locatore di mantenere la cosa locata, nel corso del rapporto, " in istato da servire all'uso convenuto" (art. 1575 n. 2 c.c.). Una situazione del tutto analoga si è verificata con riguardo all'affitto d'azienda. Vero è che il legislatore non ha dettato una disciplina specifica in materia, né nel codice civile (l'art. 2562 c.c. si limita a rinviare alle disposizioni dell’art. 2561 c.c., relative all'usufrutto di azienda) né nelle disposizioni emergenziali. Tuttavia, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale trovano applicazione, in via analogica, le disposizioni dettate in materia di locazioni e/o di affitto di cosa produttiva, in quanto compatibili.
Orbene, l'art. 1623 c.c. pone a carico del concedente l'obbligo, del tutto analogo a quello sancito dall'art. 1575 n. 2) c.c., sopra richiamato, di consegnare la cosa affittata in stato da servire all'uso convenuto, mentre l'art. 1627 c.c. prevede espressamente la facoltà, per l'affittuario, di chiedere la riduzione del canone "Se, in conseguenza di una disposizione di legge, di una norma corporativa o di un provvedimento dell' autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio".
L'obbligo di mantenere la cosa in stato da servire all'uso convenuto è stato adempiuto dalla concedente, nel periodo in contestazione, solo parzialmente, sebbene la mancata utilizzazione secondo la destinazione contrattuale non dipenda dalle caratteristiche strutturali dell'immobile ricompreso nei beni aziendali, quali vizi, mancanza di qualità, inidoneità e simili, ma derivi da cause esterne, di forza maggiore, ossia i provvedimenti dell' Autorità che limitano l'esercizio dell' attività d' impresa ivi svolta, attività che, in genere, rientra tipicamente nella sfera dell' affittuario, e non in quella del concedente.
Pur essendo il bene astrattamente idoneo, per le sue caratteristiche strutturali, allo svolgimento dell'attività commerciale prevista, la sua concreta attitudine a realizzare l'interesse dell'affittuaria a ricavare le utilità per le quali è stato locato è temporaneamente impedita o diminuita. In sostanza l'affittuaria, al pari di un conduttore, non ha potuto utilizzare l'immobile in vista del risultato per il quale esso è stato affittato, unitamente agli altri beni aziendali, ed il suo interesse è rimasto frustrato. Si tratta, più esattamente, di impossibilità per l'affittuario/creditore di fruire della prestazione negoziale del concedente/debitore ed il sinallagma ne è risultato notevolmente alterato.
Nei casi in cui la prestazione sia divenuta completamente irrealizzabile o non fruibile dal creditore per circostanze esterne sopravvenute, si è consolidato, in giurisprudenza, il principio secondo cui il rimedio della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione può essere attivato, ai sensi degli articoli 1256 e 1463 c.c., da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e quindi non soltanto dal debitore, ma anche dal creditore, sempre che l'interesse di quest'ultimo a ricevere la prestazione sia venuto meno: in tal caso si verifica la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e conseguentemente l'obbligazione si estingue.
Ciò è avvenuto, per esempio, quando la rappresentazione di un'opera lirica all'aperto, dopo l'esecuzione del solo primo atto, è stata interrotta a causa di gravi avverse condizioni atmosferiche, circostanza nella quale è stata esclusa la possibilità, per la parte liberata, di chiedere la controprestazione (Cass., sez. III, n. 23987/2019), oppure quando l' immobile locato è divenuto inagibile in conseguenza di un evento sismico che ne ha pregiudicato totalmente la possibilità di utilizzarlo (Cass. n. 17844/2007, 3247/1981) o, ancora, allorché l'acquirente di un viaggio turistico non ha potuto fruirne per una improvvisa e grave patologia sopravvenuta (Cass. n. 18047/2018 e 20338/2018) o per una pericolosa epidemia diffusasi nella località turistica (Cass. 16315/2007) o per il decesso del coniuge, che aveva parimenti acquistato il soggiorno alberghiero, il giorno prima della partenza (Cass. 26958/2007).
Nella fattispecie, tuttavia, non si versa in ipotesi di impossibilità totale della prestazione negoziale giacché l'affittuaria ha conservato il godimento dei beni aziendali e dell'immobile, tanto vero che ha continuato ininterrottamente ad avere la completa disponibilità di entrambi ed a custodire, nell'immobile, merci, arredi e, in generale, beni propri: la prestazione della concedente è stata parzialmente resa e fruita.
E' indubbio, però, che il sinallagma contrattuale ne è risultato alterato giacché la controprestazione, costituita dal corrispettivo negoziale pattuito, è stata concordata per l'intera prestazione del locatore, comprensiva della specifica destinazione dell'immobile all'uso pattuito. Nei contratti a prestazioni corrispettive, in caso di alterazione del sinallagma funzionale per cause sopravvenute ed eccezionali, indipendenti dalla volontà dei contraenti, il legislatore ha previsto, in generale, che, ove la prestazione sia divenuta parzialmente impossibile, la controparte "ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da lui dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all' adempimento parziale" (art. 1464 c.c.). Analogamente, l'art. 1623 c.c. consente all'affittuario di ottenere la riduzione del canone, in presenza di disposizioni normative che modifichino il rapporto in senso peggiorativo. E' stato evidenziato che le disposizioni in questione concernono il caso dell'impossibilità parziale definitiva della prestazione, e che l'impossibilità temporanea della prestazione, per causa non imputabile al debitore, determina invece la sospensione dell'obbligazione: il debitore, "finchè essa perdura", non è responsabile del ritardo nell'adempimento (art. 1256, comma 2, c.c.).
Questa disciplina codicistica generale si applica anche all'affitto di azienda, che, però, essendo un rapporto di durata, al pari della locazione, presenta caratteristiche peculiari, in quanto si snoda tipicamente in prestazioni periodiche, ciascuna autonoma, sotto il profilo temporale, rispetto alle altre, prestazioni che maturano col decorrere del tempo, secondo cadenze prestabilite negozialmente. Tali caratteristiche fanno sì che, nella fattispecie, l'inadempimento del concedente è parziale sotto un duplice profilo: sia perché concerne solo una delle prestazioni cui esso è tenuto (quella di mantenere il bene locato in stato da servire all'uso convenuto), sia perché riguarda le prestazioni attuali, che ricadono nell' arco temporale considerato, ma non pregiudica quelle future, destinate a svolgersi nel prosieguo del rapporto, una volta cessate le misure restrittive. Al contempo, con riguardo alle prestazioni periodiche pregresse, in relazione alle quali è maturata la scadenza contrattuale, l'inadempimento è definitivo, perché esse non potranno più essere rese, essendo strutturalmente connaturate al fattore temporale. In conclusione, l'impossibilità è (doppiamente) parziale e (parzialmente) definitiva. In questo contesto normativo si è inserita l'art. 216, comma 3, della L. n. 77/2020 (di conversione del D.L. n. 34/2020, cosiddetto Decreto Rilancio), dettato nell'ambito della normativa emergenziale emanata per fronteggiare l'emergenza epidemiologica, che, in linea con i principi esposti, così recita: "La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri attuativi dei citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, e a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell' assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito".
La ratio legis sottesa a tale disposizione è chiaramente esplicata nella relazione illustrativa alla legge: "Il contratto di locazione, nel periodo in cui al conduttore è inibita per un factum principis l'utilizzabilità dell'immobile locato secondo l'uso pattuito, non realizza lo scopo oggettivo per il quale fu stipulato. Si verifica quindi un'alterazione in concreto del sinallagma che, in un contratto commutativo, non può che determinare un intervento di riequilibrio da parte dell'ordinamento ... la norma in commento introduce un rimedio azionabile dal conduttore per ricondurre il rapporto all'equilibrio originariamente pattuito, consistente del diritto alla riduzione del canone locatizio mensile per tutto il periodo in cui, per il rispetto delle misure di contenimento, sono stati di fatto privati del godimento degli immobili locati". Significativo, e degno di nota, è che il legislatore abbia ivi avvertito l'esigenza di precisare che la previsione del beneficio del credito di imposta in favore del conduttore, previsto dall'art. 65, comma 1 , D.L. n. 18/2020, nella misura del 60% del canone, "lascia impregiudicata la questione se la legge civile attribuisca al conduttore il diritto ad una riduzione del canone (ed eventualmente ad un esonero dal relativo pagamento) relativamente al periodo di tempo in cui egli sia stato costretto, per factum principis, a tenere chiusa la sua attività commerciale".
Col che resta chiarito che il beneficio resta confinato all'esclusivo ambito fiscale e non si ripercuote sull'equilibrio sinallagmatico delle prestazioni negoziali. Se la ratio legis della prevista riduzione del canone di locazione degli immobili adibiti a palestre, piscine e impianti sportivi è quella enunciata nella Relazione illustrativa, ad avviso della scrivente si impone, anche alla luce dei principi costituzionali, l'applicazione analogica della disposizione in esame a tutte le locazioni ad uso diverso ed agli affitti di azienda che hanno ad oggetto immobili adibiti ad attività il cui svolgimento è stato identicamente precluso dalle misure restrittive adottate dalle Autorità per fronteggiare l'emergenza epidemiologica.
Appare, infatti, irragionevole, perché privo di valida giustificazione, il trattamento diverso di situazioni sostanzialmente identiche, in violazione del divieto di disparità di trattamento, sancito dall' art. 3 Cost..
Senza entrare nel dibattito, che tuttora ferve tra gli studiosi, circa la distinzione tra interpretazione estensiva ed applicazione analogica, non essendone questa la sede propria, ove si ritenesse di non potere interpretare estensivamente l’art. 216 nel senso detto - come sembra, in base al tenore letterale della disposizione - , ne è ben possibile l' applicazione analogica, sussistendone i presupposti previsti dall' art. 12 delle Preleggi, atteso che: vi è una lacuna nella legge, non avendo il legislatore previsto alcunché con riguardo all' affitto di azienda (i ) , si versa in caso simile, essendo consolidata l'applicazione all' affitto di azienda dei principi dettati in materia di locazioni commerciali e di affitto di cosa produttiva, nei limiti della compatibilità (ii ) , la disposizione non ha natura eccezionale perché, sebbene collocata formalmente nell'ambito delle disposizioni emergenziali, non deroga ai principi dell' ordinamento, ma si pone anzi perfettamente in linea con quelli sanciti in tema di impossibilità della prestazione contrattuale per circostanze sopravvenute, eccezionali ed imprevedibili, finalizzate a ristabilire l' equilibrio contrattuale turbato dalle sopravvenienze eccezionali, quali sopra richiamate (iii). Premesse queste considerazioni, nel caso in esame è indubbio che, per effetto delle disposizioni emergenziali, la prestazione della concedente di assicurare il godimento, tra gli altri beni aziendali, dell'immobile per la destinazione pattuita non è stata adempiuta nella sua interezza, ma non per fatto ad essa imputabile, essendo state autoritativamente imposte limitazioni allo svolgimento dell'attività commerciale di birreria-pub, nel periodo in contestazione.
La conduttrice non è esonerata dal pagamento del canone, ma vi è tenuta in misura ridotta proporzionalmente al diminuito uso del bene. Circa la misura della riduzione del canone, in assenza di disposizioni specifiche per le locazioni commerciali diverse da quelle concernenti attività sportive, l'art. 216 del D.L. n. 18/2020 citato costituisce l'unico parametro normativo che può essere assunto a riferimento di una valutazione giudiziale, anche in via equitativa. Sussistendo il medesimo presupposto, ivi previsto, della Chiusura totale dell'esercizio commerciale dall Il marzo al 17 maggio 2020, si ritiene dovuto il 50% del canone negoziale per 70 giorni, pari a 21.405, 63, di cui 6.139,76 per ventuno giorni di marzo (50% del canone mensile di 18.126,93) e 15.265,87 per aprile ed i primi diciotto giorni di maggio 2020 (50% del canone mensile di 19, 316,00, così previsto in contratto con decorrenza da aprile 2020). L' importo che spetta alla locatrice per le mensilità di marzo, aprile, maggio e giugno 2020 ammonta a complessivi 10.827,40, oltre IVA, così calcolato: canone giornaliero (45.600 per canone annuo /365 giorni) X 70 giorni di chiusura dell'esercizio commerciale = 8.745, 20/2 = 4.372, 60, che è l'importo del canone effettivamente dovuti, ridotto nella misura del 50% per il periodo di lockdown. Dall'importo totale del canone dovuto per le quattro mensilità in esame (3.800, 00 X 4 = 15.200, 00) deve essere decurtato il 50% del canone dovuto per 70 giorni (15.200, 00 - 4.372, 60 = 10.827, 40). Il decreto ingiuntivo deve essere revocato e l'opponente condannata al pagamento di 10.827, 40, oltre IVA ed interessi moratori dalle singole scadenze al saldo.
5. Sull'opposizione proposta avverso il d.i. n. 19009/2020.
L'affittuaria ha allegato che "Per i canoni successivi a maggio 2020, quando era potenzialmente possibile esercitare l'attività di ristorazione, vale la pena ribadire che la I.XX non era nella possibilità di esercitare la suddetta attività perché era impossibile rispettare le norme di sicurezza dettate nel periodo emergenziale (distanza tra i clienti). Il Locale della I.XX non poteva ospitare più di 4/6 clienti al giorno e ciò lapalissianamente rendeva impossibile sostenere economicamente i costi dell'attività con i potenziali guadagni derivanti dallo svolgimento dell'attività di ristorazione. Anche tale circostanza era nota alla G. srl, alla quale più volte è stata offerta infatti la riconsegna dei locali e delle chiavi.
Quindi riepilogando, circa ... i canoni successivi a maggio 2020, si ritiene che stante l'impossibilità di svolgere la propria attività nel rispetto delle norme dettate, nulla sia dovuto dalla I.XX o quanto meno il canone debba essere rivalutato". L'assunto non è condivisibile. L'impossibilità di utilizzare la prestazione avversa, per poter giustificare la richiesta di riduzione della controprestazione, ai sensi dell'art. 1464 c.c., deve essere assoluta. Nel caso in esame non ricorre il presupposto legale in questione, giacché la perdurante chiusura dell'attività non era preclusa ma, anzi, consentita e la perdurante chiusura dell'attività commerciale, fino alla riconsegna dell'azienda alla concedente, è dipesa da una scelta imprenditoriale e non è stata imposta da provvedimenti autoritativi. Peraltro, le limitazioni allegate sono rimaste in concreto indimostrate quanto alla effettiva entità ed incidenza sulle modalità di svolgimento dell'attività. L'opposizione deve essere rigettata ed il decreto ingiuntivo confermato e dichiarato definitivamente esecutivo.
6. Infine, non è ravvisabile abuso del diritto nella condotta dell'opposta che, dopo aver notificato il primo decreto ingiuntivo, il 23 dicembre 2019 ha depositato il secondo ricorso per ingiunzione, nelle more della procedura di mediazione ed in mancanza di qualunque pagamento delle otto mensilità maturate, anche in acconto sul dovuto, alla luce delle ragioni addotte dalla creditrice, quali la necessità di munirsi della provvista necessaria a corrispondere il canone al locatore dell'immobile dato in godimento all' opponente, di cui essa è conduttrice, e quella di versare l'IVA sui canoni non incassati.
Peraltro, l'opponente nemmeno può legittimamente dolersi della mancata disponibilità della mostrata dalla controparte a soluzioni conciliative, adducendo la sua presunta malafede, alla luce della condotta da essa stessa tenuta, che non si è contraddistinta per correttezza e buona fede. Ed invero, pur avendo comunicato alla concedente, sin dal 22 aprile 2020, l'intenzione di risolvere il contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta con decorrenza da marzo 2020, l'affittuaria ha restituito il ramo d'azienda solo il 30 ottobre 2020, vale a dire dopo oltre sei mesi e , soprattutto, ha continuato a tenere chiuso l' esercizio commerciale dal 9 marzo 2020 sino alla restituzione, pur essendone stata consentita la riapertura a decorrere dal 18 maggio 2020, senza alcun vantaggio per sé e con rischio di danno per la controparte, per la possibile perdita dell' avviamento commerciale.
Tenuto conto dell'esito della lite, non sussistono i presupposti per la condanna dell'opposta al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'art. 92 cpc, né quella al risarcimento del danno per lite temeraria. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della causa in ragione dell'ammontare del credito effettivamente riconosciuto all'opposta, nonché delle attività difensive svolta, si liquidano come da dispositivo. Considerato che pacificamente l'opposta non ha partecipato alla procedura di mediazione né ha fornito giustificazione valida della sua mancata partecipazione, essa deve essere condannata a versare all' Erario l'importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) revoca il decreto ingiuntivo n. 14136/2020 (RG n. 21189/2020) e condanna I.XX s.r.l. al pagamento, in favore di G.XX s.r.l. della somma di 10.827, 40, oltre IVA ed interessi moratori dalle singole scadenze al saldo;
2) rigetta l'opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 19009/2020 (RG n. 13099/2020) e dichiara quest'ultimo definitivamente esecutivo;
3) dichiara la improponibilità delle domande di risoluzione contrattuale formulate in via riconvenzionale dall'opponente, essendo devolute agli arbitri;
4) condanna l'opponente alla refusione, in favore dell'opposta, delle spese di lite, che si liquidano in 4.300,00 per compensi, oltre al 15% per rimborso forfetario spese generali, IVA e CPA se dovute;
5) condanna G.XX s.r.l. al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio. Motivazione in 30 giorni.
Milano, 16 novembre 2021.
Il Giudice Francesca Savignano