L’istante deve manifestare a verbale l’intenzione di proseguire oltre il primo incontro

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Avv. Giovanni Aldo Sechi

Tribunale di Roma, sentenza 26.5.2016

A cura del Mediatore Avv. Giovanni Aldo Sechi da Sassari.
Letto 3356 dal 02/06/2016

Commento:

La situazione nella quale l’istante intende procedere oltre l’incontro informativo diversamente dal convenuto che invece si oppone, sempre che sussista la correlativa verbalizzazione, comporterà non l’improcedibilità della causa, bensì, ove il diniego non risulti giustificato, la possibile applicazione a carico del convocato/convenuto delle sanzioni previste dalla legge, ovvero la condanna al pagamento di una somma pari al contributo unificato e valutazione della condotta ex art. 96 comma 3 cpc.

Testo integrale:

In NOME del POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di ROMA
SEZIONE Sez.XIII°
REPUBBLICA ITALIANA

Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
nella causa tra
L.P.  attrice
E
M.E. convenuto
ha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art. 281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 26.5.2016 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di
udienza, la seguente
SENTENZA
letti gli atti e le istanze delle parti,
osserva:
La motivazione che segue è stata redatta ai sensi dell’art.16-bis, comma 9-octies (aggiunto dall’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 secondo cui gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica.
Poiché già la novella di cui alla l.. 18 giugno 2009, n. 69 era intervenuta sugli artt.132 cpc e 118 att. cpc , prevedendo che la sentenza va motivata con una concisa e succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, occorre attribuire al nuovo intervento un qualche significato sostanziale, che tale non sarebbe se si ritenesse che l’innovazione ultima sia puramente ripetitiva – mero sinonimo- del concetto già precedentemente espresso.
La necessità di smaltimento dei ruoli esorbitanti e le prescrizioni di legge e regolamentari (cfr. Strasburgo 2) circa la necessità di contenere la durata della cause, impongono pertanto applicazione di uno stile motivazionale sintetico che è stile più stringente di previgente alla disposizione dell’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, d.l.83/2015.
-1- Il fatto
La domanda dell’attrice concerne (indirettamente) una lite di natura societaria.
Invero l’attrice era consigliere di amministrazione della srl S. e riteneva di avere, in virtù di espressa delega ricevuta da CDA della società, il diritto ed il potere di emettere assegni bancari sul rapporto di conto corrente n.18289 intrattenuto dalla società presso la Banca di
Lamentava che aveva ricevuto gravi danni (in particolare segnalazione alla CRI e licenziamento da parte del suo datore di lavoro, la società P., in conseguenza di tale segnalazione) a seguito del protesto, avvenuto per revoca da parte di M.E. Amministratore Unico della srl S., dell’autorizzazione ad emettere assegni.
La E. contestava la ricostruzione della vicenda, sottolineando che la P. aveva la delega solo per il versamento delle imposte ed era stata già diffidata ad attenersi a tale incombente. In particolare era stata avvertita che il rapporto con la — oggetto dell’assegno era contestato sicché l’emissione dell’assegno per cui è causa era da ritenersi del tutto arbitrario.
Come si vede, si tratta di una lite fra due componenti di una compagine societaria, in ordine alla quale le vere ragioni del contendere, come è evidente a chiunque abbia la volontà di ben vedere e rendersi conto, sono i rapporti personali deteriorati, per il che ben si sarebbe potuto pervenire ad un accordo, ad una pacificazione, mediante l’opera di un mediatore professionale che avesse potuto aiutare le parti a ricostruire il rapporto, modificando una visione evidentemente troppo unilaterale dei rapporti fra le due parti. Come si vedrà, all’ordine del giudice di mediazione demandata le parti non hanno inteso dare seguito, se non in modo apparente.
-2- L’ordinanza di invio in mediazione demandata dal giudice
Con ordinanza del 25.11.2013il giudice ordinava la mediazione demandata della causa (1)
Dal verbale di mediazione depositato in atti risulta che all’incontro del 10.1.2014 partecipavano le parti personalmente assistite dai rispettivi difensori, e che il mediatore informava le parti circa la natura del procedimento di mediazione nonché dei benefici fiscali.
Nel verbale veniva altresì dato atto che:
il mediatore aveva richiesto alle parti ed ai loro avvocati di esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e che le parti, dopo ampia discussione, manifestavano al mediatore la volontà di non dare inizio alla procedura di mediazione
Il mediatore dichiarava concluso il procedimento con esito negativo.
Ritiene il giudice che non sia stata data rituale e piena esecuzione all’ordinanza che precede e che le parti NON abbiano esperito la mediazione, ma soltanto un simulacro, una fase introduttiva e non altro della stessa, con quanto ne consegue.
Va ricordato che a mente dell’art.8 co. I° del decr.lgsl.28/2010 al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
D’altro canto l’art. 2 bis del’art. 5 della legge prevede che quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.
Un’interpretazione delle norme che conduca a ritenere che esista un diritto potestativo della parte di non dare corso al provvedimento del giudice che ordina la mediazione demandata ai sensi dell’art. 5 co. II° della legge, è erronea e non può in alcun modo essere accettata.
Va considerato che il non chiaro testo normativo necessita di un’interpretazione adeguatrice che lo salvi da una giusta censura di incostituzionalità per irragionevolezza, come nel caso che si accogliesse la tesi che le parti siano libere di non dare corso alla mediazione (che tale non può essere definito il mero incontro informativo), raggiungendo lo stesso vantaggioso risultato (inveramento della condizione di procedibilità) che la legge assicura a chi la mediazione ha effettivamente e sostanzialmente esperito.
Identificare la “mediazione” con l’incontro informativo è un errore grossolano.
E’ la stessa legge infatti che definisce la mediazione come altro (2)
Predicare che assolto all’incontro informativo, non volenti le parti entrare in mediazione, si debba considerare questa – contro la realtà – egualmente svolta, è un’assurdità logica e giuridica.
Nell’incontro informativo, massime nella mediazione demandata, il mediatore svolge una funzione irrilevante, posto che essendo già in corso la causa, le parti sono già state debitamente ed esaurientemente informate, per preciso obbligo di legge, dagli avvocati (e occorrendo dal giudice)(3).
La giurisprudenza che si è occupata di tale problema è graniticamente unanime nell’affermare che solo la presenza di obiettive circostanze procedurali (et similia) integra l’impossibilità di procedere alla mediazione, fermandosi all’incontro informativo, nessun’altra accezione della parola “possibilità” essendo ammissibile. , che accompagnano e assistono obbligatoriamente le parti all’incontro, di tutto ciò che devono sapere sulla mediazione, al quale nulla può aggiungere il mediatore.
In particolare tale giurisprudenza, inaugurata dal Tribunale di Firenze (4) ha trovato, nella sua assoluta razionalità e perfetta logica giuridica, giusto consenso e condivisione, tanto da potersi affermare che essa costituisce il diritto vivente del diritto nazionale sul punto.
-3- La natura dell’incontro di mediazione di cui all’art 8 co. quinto della legge (5)
Un’interpretazione che si fermasse al dato meramente letterale delle norme (in particolare del comma 2 bis) potrebbe indurre in equivoco opinando che ove le parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la possibilità di iniziare la procedura di mediazione, il procedimento di mediazione sia correttamente concluso e la condizione di procedibilità della domanda giudiziale realizzata.
L’erroneità di tale opzione interpretativa è agevolmente dimostrabile. dell’art.5 della legge ) potrebbe indurre in equivoco opinando che ove le parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la possibilità di iniziare la procedura di mediazione, il procedimento di mediazione sia correttamente concluso e la condizione di procedibilità della domanda giudiziale realizzata.
Ed invero, che il procedimento di mediazione sia concluso non volendo le parti esperirlo è esatto; che tale condotta delle parti sia corretta e la condizione di procedibilità realizzata, sicuramente non lo è.
Sarebbe a dire, assecondando l’aporia, che da una parte la legge prescrive che per introdurre (o proseguire) la causa occorre che venga esperito il procedimento di mediazione (che consiste nelle attività ben descritte nella lettera a. dell’art.1 della legge, nonché negli artt. 8 commi 2-4 ed nell’art.11 della legge) e dall’altra che anche se le parti (ed in particolare il proponente la domanda di mediazione) dichiarano di non voler effettuare la mediazione (che conseguentemente e nella realtà non si è svolta) ..la mediazione si considera svolta e la procedibilità attinta…
Un perfetto ossimoro.
Aderendo a tale accezione e tenendo bene a mente il significato della parola “mediazione” (cfr. nota 1) si dovrebbe ammettere che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo abbia ordinato !), ottenendo però il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che se la mediazione fosse stata esperita davvero.
Conclusione questa del tutto azzardata ed irrazionale, perché significa predicare come avvenuta una cosa quando indiscutibilmente essa non lo è.
E non solo.
Immaginare che le parti in mediazione demandata (qual’è quella che ci occupa) possano ricevere le informazioni che il mediatore gli somministra nel corso del “primo incontro” (il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione) come un quid novi che dischiuda loro, solo in quel momento, le prospettive della mediazione e del suo significato, è cosa aberrante e confliggente, specialmente nella demandata, con la realtà, posto che le parti sono state già preventivamente informate di che trattasi. Una prima volta al momento del conferimento del mandato all’avvocato (cfr. art. 4 della legge, norma particolarmente puntigliosa al riguardo; che contiene anche una clausola di salvaguardia contro l’informativa mancata, con l’intervento suppletivo del giudice) ed una seconda, all’atto della doverosa informativa dell’avvocato al cliente del contenuto dell’ordinanza di mediazione demandata con il connesso dialogo che precede la presentazione della parte e dell’avvocato all’incontro.
il primo all’incontro di mediazione, dovendogli necessariamente spiegare a che pro.
Ed ancora.
Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione.
A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità, e l’individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un provvedimento che può anche contenere – come l’esperienza sempre più spesso attesta- utili spunti ed indicazioni per la discussione ed il confronto fra le parti con il mediatore, il non pòssumus delle parti (o di una di esse) si qualifica come ingiustificata e pregiudiziale renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice ed espressione di un volontario quanto ingiustificabile rifiuto a priori di sperimentare realmente con lealtà e senza riserve mentali un percorso conciliativo.
-4- L’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di cui agli artt. artt.8 co.I° e 2 bis dell’art. 5 del decr.lgsl.28/2010.
Quale che sia stato l’intento (non dei più chiari e lineari) del legislatore, è necessario apprestare per le norme in commento un’interpretazione in linea con la Carta Costituzionale.
Va premesso che per molto tempo nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle leggi è stato considerato, sotto ogni aspetto, monopolio e riserva della Corte Costituzionale. Ciò in virtù della originaria (e tuttora immutata) scelta del legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del controllo di costituzionalità accentrato su un solo soggetto, creato ad hoc, la Corte Costituzionale.
Le ragioni sono state molteplici e non è questa la sede per esporle.
Ciò che conta è che nel corso degli anni, il timore che i giudici ordinari non fossero sufficientemente sensibili al controllo di costituzionalità delle leggi (questa storicamente è stata una delle ragioni) è svanito superato dalla prova dei fatti, che hanno dimostrato il contrario.
Ed è proprio in dipendenza della grande attenzione ed interesse della magistratura alla conformità alla Costituzione delle norme di legge, attraverso la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale in presenza di norme di dubbia costituzionalità, che si è da tempo avviato un processo inverso che si può riassumere nella nota espressione della interpretazione costituzionalmente orientata della legge da parte del giudice ordinario.
Non si è pervenuti per tale strada, né si potrebbe, ad un controllo di costituzionalità diffuso (per il limite costituito dalla diversa previsione costituzionale) ed il giudice ordinario non espunge le norme dall’ordinamento giuridico come fa la Corte.
Tuttavia, con l’avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di controllo contribuisce ad arricchire l’opera di adeguamento delle norme ordinarie a quelle costituzionali (e più prosaicamente, a sgravare la Corte da una parte dell’ingente lavoro che la onera).
Detto ciò, resta da ricordare che uno dei riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per quanto detto è correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di costituzionalità, è quello della ragionevolezza della norma sottoposta a scrutinio.
Nel caso in esame, l’interpretazione letterale che è stata supra esposta presta visibilmente il fianco ad una fondata censura di incostituzionalità sotto entrambi i profili che sono stati elaborati, per questo vizio, dalla Corte Costituzionale.
Che in un primo tempo aveva correlato la ragionevolezza all’art. 3 della Costituzione, con la conseguente necessità, per accertare l’irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis (che in questo caso esiste ed è evidente, consistendo precisamente nel caso in cui le parti abbiano svolto effettivamente la mediazione consentendo al mediatore di svolgere la sua attività, che non è ovviamente solo quella informativa, bensì quella ricordata con la nota n.2). L’interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e prevede le medesime conseguenze (avveramento della condizione di procedibilità, mancanza di sanzioni per la parte renitente) ad entrambe le (pur diverse e opposte) situazioni.
Successivamente ed allo stato, il parametro della ragionevolezza viene dalla Corte Costituzionale non più rapportato all’art. 3 della Costituzione, quanto individuato nella sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore.
Anche in base a tale parametro l’interpretazione letterale non supera lo scrutinio di costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno; ad un convocato deceduto nelle more della presentazione all’incontro al quale si presenti uno degli eredi per dichiararlo, etc etc.) può ammettersi che sussista l’impossibilità ad iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il procedimento di mediazione (con l’inveramento della condizione di procedibilità e l’assenza di sanzioni).
Per inciso, è notorio a chiunque abbia anche una sommaria pratica di mediazione, che dietro alla dichiarazione di impossibilità ad iniziare la mediazione ci sono pressoché sempre divergenze nel merito delle questioni che costituiscono la materia del contendere.
Dal che l’inevitabile sillogismo che una vera impossibilità ad iniziare la mediazione non esiste (quasi) mai.
Per completezza, è opportuno interrogarsi se così interpretata la norma, non si incorra nel rischio (opposto) di prefigurare una sorta di mediazione forzata che l’intervento normativo con le modifiche al testo originario del decr. lgsl.28/2010 di cui alla novella del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (artt.8 co. I° terzo periodo in poi e 2 bis dell’art. 5) intendeva scongiurare
Occorre intendersi sul significato della parola “mediazione”.
Dal punto di vista sostanziale, va da sé che le parti che partecipano all’incontro di mediazione sono del tutto libere di accordarsi o meno.
E pertanto nell’accezione di accordo, conciliazione et similia, la mediazione non è mai obbligata.
Né dal mancato raggiungimento dell’accordo in mediazione può derivare alle parti o a taluna di esse pregiudizio di sorta, di alcun genere. Dal punto di vista procedurale, alla domanda se vi sia un obbligo a carico delle parti di partecipazione alla mediazione (intesa questa volta non come accordo, ma come procedura nel significato di cui alla nota 2) la risposta è invece senz’altro affermativa; come rivela in modo icastico tutto il sistema sanzionatorio previsto dalla legge (improcedibilità per la mancata proposizione della domanda, conseguenze negative previste dall’art. 8 della legge; possibile applicazione dell’art.96 co. III come riconosciuto dalla giurisprudenza (6).
Tale interpretazione – che ragionevolmente contempla l’eventuale situazione di inesigibilità della prosecuzione oltre il primo incontro informativo – è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione).
Invero salvaguarda le parti dalla necessità dello svolgimento della mediazione (con i costi relativi) nei casi nei quali oggettive ragioni “pregiudiziali” non lo rendano possibile, nell’accezione supra illustrata; viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e sul contenuto del conflitto, senza che possa fare da usbergo al soggetto renitente l’opinione di aver ragione e quindi di ritenere inutile dialogare con l’altra parte (per quanto all’evidenza viziata dal punto di vista logico, vera e propria aporia, è questa la più diffusa giustificazione che viene offerta da chi non intende aderire e partecipare alla mediazione (7).
-5- Le parti (o taluna di esse) si fermano ingiustificatamente all’incontro informativo: conseguenze ).
La verbalizzazione delle ragioni della impossibilità di procedere alla mediazione.
In mancanza di qualsiasi dichiarazione, che le parti possono richiedere di verbalizzare liberando in tal modo il mediatore dall’obbligo di riservatezza, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato.
Invero la regola di base espressa dal decreto legislativo 28/2010 è l’obbligatorio svolgimento del procedimento di mediazione di cui agli artt. 5 commi 1 bis e 2 (come attesta inequivocabilmente il sistema sanzionatorio previsto dalla legge stessa per la mancata partecipazione, oltre che, a fortiori, per la mancata introduzione della domanda di mediazione).
Ne consegue che il rifiuto di procedere e partecipare alla mediazione costituisce la violazione della regola.
E, come per ogni violazione, in qualsiasi sistema (penale e non), è la parte che invoca una giustificazione scriminante a doverla quanto meno allegare.
Le conseguenze di tale rifiuto – ingiustificato- di procedere e di partecipare alla mediazione sono, se espresso dall’istante/attore, sovrapponibili alla mancanza tout court della (introduzione della domanda di) mediazione.
Sarebbe infatti un’aporia ritenere soddisfatto il precetto della legge in materia di mediazione obbligatoria e demandata, ritenendo che sia sufficiente al fine di integrare la condizione di procedibilità la semplice formale introduzione della domanda.
Il legislatore persegue l’obiettivo dell’accordo e della pacificazione e una domanda di mediazione che rimanga monca, senza alcun seguito, non serve a tale scopo.
Con quanto ne consegue (improcedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5 co. II° decr.lgsl.28/10 (8). Non può infatti essere oggetto di dubbio – giova ribadire quanto supra ampiamente dimostrato – che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le parti), non può, specialmente nella mediazione demandata, neppure con i più acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento dell’esperimento della mediazione per la parte istante, attore nella causa)
La quale, come ricordato, consiste nell’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa (art. 1 del decr.lgs.28/10).
La situazione nella quale l’istante intenda procedere oltre l’incontro informativo e sia la parte convocata (il convenuto nella causa), a dichiarare l’impossibilità di proseguire oltre il primo incontro, sempre che sussista la correlativa verbalizzazione, comporterà non l’improcedibilità della causa, bensì, ove il diniego non risulti, secondo una valutazione ancorata ai parametri supra delineati, giustificato, la possibile applicazione a carico del convocato/convenuto delle più volte supra ricordate sanzioni.
In considerazione delle ragioni della decisione ed in particolare del momento del consolidamento della giurisprudenza sul punto centrale della decisione, è giusto compensare interamente le spese di causa fra le parti.
P.Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
DA’ATTO del mancato svolgimento della mediazione demandata dal giudice;
DICHIARA improcedibile la domanda di L.P.;
COMPENSA interamente le spese di causa.
Roma lì 26.5.2016 Il Giudice
dott. Massimo Moriconi
 
 
(1). Ordinanza del 25.11.2013: l’attrice ha emesso un assegno bancario in data 9.6.2011 a copertura di fatture insolute del commercialista che teneva la contabilità della società (srl S.) di cui al P. era socia, informandone il presidente del cda in data 13.6.2011 (fatti documentali);
l’assegno è stato protestato per intervenuta revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni da parte dell’amministratore unico della società M.E. (tale diventata proprio in data 14.6.2011 a seguito di definitiva cessione di quote e modifiche statutarie) e la P. di conseguenze segnalata al CAI;
l’attrice agisce per i danni da quella che considera una revoca illegittima;non si ritiene di ammettere nessuna delle prove orali richieste dalle parti, sia per la inammissibilità delle stesse sotto il profilo che l’ accordo del contenuto di quello invocato dall’attrice deve essere provato per iscritto, stante la rilevanza degli effetti che produce e sia perché i testimoni (ex soci) indotti non sono ammissibili (essendo più che evidente anche se non dichiarata, l’esistenza di opposti se non confliggenti interessi in limine della cessione delle quote di D. e S. da una parte e della E. dall’altra; cfr. per un’icastica controprova il cap.2 della memoria 183 II° attrice e lo speculare antitetico capitolo della omologa memoria della E.);
tuttavia, ammessa la documentazione prodotta, sarà valutata l’esistenza e l’estensione del potere di L. P. di emettere assegni, senza previa richiesta di autorizzazione agli altri soci, sulla base della documentazione prodotta;
considerato che in relazione agli atti, all’istruttoria fin qui espletata ed ai provvedimenti del Giudice, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di una sollecita risoluzione del conflitto e con utili ricadute anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28);
ammessi i documenti prodotti dalle parti; ed esclusa allo stato ogni prova orale;
ritenuto che si procede ai sensi del secondo comma di cui all’art.5 decr.legisl.28/2010;
ritenuto che si fissa termine fino al quindicesimo giorno da oggi per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decreto.
(2) Secondo l’art. 1 della legge la mediazione è l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa rispetto all’incontro informativo, che è una fase preliminare e propedeutica alla mediazione.
(3) Art.4 comma 3 della legge: All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione
(4) ex multis Trib. Firenze, ordinanza 17 marzo 2014 Pres.dott.ssa Luciana Breggia: … Nelle “procedure di mediazione ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lgs. 28/10 (e succ. mod.), … da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio…. il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria, bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato”
Nel caso di specie, il tentativo di mediazione, pur ritualmente iniziato, non risulta altrettanto ritualmente condotto a termine.
(5) Art. 8: Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
(6) cfr. sentenza del Tribunale di Roma n.25218 del 17.12.2015 RG 59487/11
(7) E’ di tutta evidenza l’illogicità e la pochezza dell’argomento: il presupposto normativo e assiologico dell’istituto mediazione è per l’appunto che vi sia una lite (che mediante l’ausilio del mediatore si tenterà di comporre riannodando il filo del dialogo e della comprensione reciproca delle rispettive ragioni), il che sottoindente necessariamente che la parte è convinta di avere ragione e di non condividere l’opinione e le pretese che giudica infondate, della parte opposta, ché, in caso contrario, non esisterebbe neppure la lite!
(8) in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale
 

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Chi è l'autore
Avv. Giovanni Aldo Sechi Mediatore Avv. Giovanni Aldo Sechi
Esercita l'attività di avvocato dal 1994, Cassazionista dal 2007.

Si occupa prevalentemente di diritto penale e di diritto civile, e predilige le problematiche inerenti la colpa professionale, la circolazione stradale e la produzione e commercializzazione di prodotti difettosi.

Forte della esperienza maturata nel campo assicurativo prima e dopo la laurea e della attività svolta quale difensore di società assicuratrici, è particolarmente attento alle problematiche della materia.

È lega...
continua





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