La domanda riconvenzionale, ai sensi dell’art.36 c.p.c. è qualificata come la domanda che, pur potendo essere proposta dal convenuto in un separato giudizio, viene avanzata in quello già pendente a condizione che sia legata alla domanda originaria dalla stessa causa petendi o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione.
Il privato cittadino o la società destinataria di una istanza di mediazione su una controversia ancora oggetto di trattativa tra le parti, nella sua qualità di “convenuto”, potrebbe avere un interesse a proporre una domanda riconvenzionale già in risposta all’avanzata istanza di mediazione, oppure potrebbe decidere di proporla successivamente dinanzi al giudice, giocandosi le sue “chance” in seguito.
Occorre chiedersi se a questo punto la domanda riconvenzionale va proposta obbligatoriamente in sede di mediazione oppure le parti possono riservarsi l’ eventuale contromossa nei primi atti difensivi nell’instaurato processo (ovviamente nel rispetto dei termini decadenziali previsti dal codice di procedura).
La soluzione preferibile può essere trovata partendo dalla natura stessa della domanda riconvenzionale: come già detto, trattasi di una domanda connessa a quella principale che viene introdotta nel processo come collegata alla domanda originaria.
Pertanto, trattandosi di questioni connesse che richiedono una trattazione unitaria, la procedura di mediazione deve investire tutte le domande che si vogliono far valere con quella originaria e che ha dato inizio alla mediazione.
Viceversa e in caso contrario, per alcune ragioni molto semplici si violerebbe il principio di parità delle parti all’interno del processo nonché il diritto di difesa del primo istante.
La prima. Il convenuto che si riserva di proporre una domanda riconvenzionale all’interno del processo è inevitabilmente avvantaggiato nei confronti del ricorrente (ex istante della mediazione) sia perché è in grado di conoscere preventivamente tutte le pretese avversarie, ma anche perché è in grado di “giocarsi” le sue ulteriori difese in seguito e senza che l’altra parte sia stata posta nella condizione di conoscerle.
Inoltre, non va trascurato l’esito falsato della mediazione: se l’istante fosse stato messo in condizioni di svolgere una mediazione con sufficiente cognizione delle avverse pretese, come anche il mediatore al corrente di quello che formalmente l’istante chiedeva, la mediazione avrebbe potuto avere un esito conclusivo ben diverso.
La seconda. Ancor di più, sarebbe inevitabilmente pregiudicato l’obiettivo della mediazione e cioè la ricerca dei veri interessi e bisogni alla base dell’insorgenda controversia.
La terza. Assenza di contraddittorio su questioni non formalmente avanzate con l’istanza di mediazione.
Non si dubita che i veri interessi e bisogni delle parti possano anche non venire alla luce vuoi per la scarsa professionalità del mediatore che per l’irrigidimento delle parti, tuttavia, cosa ben diversa è la mancata allegazione di una domanda riconvenzionale, la quale non può essere taciuta proprio perché rappresenta la pretesa giuridica oggetto della mediazione.
La soluzione prospettata trova anche un valido appoggio nell’ambito dei contratti agrari, in cui è previsto il tentativo di conciliazione obbligatorio e dove da tempo si ritiene che la domanda riconvenzionale non proposta in sede di conciliazione ma soltanto all’inizio del processo sia improponibile.
Concludendo, si potrebbe affermare che la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto per la prima volta nel processo e che non è stata conosciuta all’interno della procedura di mediazione, richiedendo valutazioni e giudizi su una domanda del tutto nuova, ancorché legata alla domanda originaria dalla stessa causapretendi o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione è da ritenersi inammissibile.