Come è noto a chiunque si sia avvicinato alla PNL, sia come materia specifica di studio che anche soltanto come argomento trattato all'interno di un corso di formazione, i meta programmi altro non sono che schemi comportamentali che ognuno di noi utilizza in maniera automatica, inconscia, per intervenire nella realtà quando vuole analizzare delle informazioni, assumere decisioni, motivarsi a fare qualcosa.
Il nome “meta” deriva dal fatto che si tratta di programmi che stanno al di sopra di altri, con funzione di guida ed indirizzo del pensiero. I meta programmi sono, per così dire, il nostro “come” nei processi emozionali e razionali.
Questi schemi comportamentali, studiati e teorizzati da esperti di PNL come Robert Dilts, sono di vario genere, ed hanno funzioni differenti. Ogni persona può applicare lo stesso meta programma a situazioni differenti, e, allo stesso tempo, può utilizzare contemporaneamente più schemi, in proporzioni variabili; il che vuol dire che ognuno di noi, anche se apparentemente sembra rientrare in un meta programma prevalente, in realtà potrebbe aver processato il proprio pensiero emotivo o razionale, e, quindi, la propria decisione, sulla base di schemi diversi tra loro.
Non è possibile categorizzare pertanto una persona in maniera assoluta; ciò che conta, per ogni professionista che abbia interesse a conoscere il percorso formativo del pensiero umano, sia che si tratti di un comunicatore, di un counselor o di un negoziatore (solo per fare degli esempi) è osservare il comportamento del soggetto sul momento e nella situazione specifica, per poterne comprendere l'iter mentale e cercare così di creare un legame che permetta di ottenere la sua fiducia e, quindi, di indirizzarlo correttamente, se sussistono dei problemi che si vuole aiutare a risolvere.
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Tutto ciò assume grandissima importanza nel contesto della mediazione, dove piu' soggetti si trovano, almeno inizialmente, contrapposti, ed il mediatore deve fare il possibile per trasformare il conflitto in un accordo soddisfacente per tutte le parti.
A questo punto diventa essenziale per il professionista conoscere i più importanti meta programmi codificati, e saperli individuare attraverso i comportamenti dei protagonisti della mediazione, sia pure tenendo conto dei correttivi determinati dalla loro possibile commistione, e, quindi, impurità di genere.
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Tra i principali meta programmi di tipo “direzionale” che rappresentano una importante leva motivazionale vi sono il “Verso” ed il “Via da”.
Indicano, per esemplificare, la direzione verso la quale va una persona ed il motivo. Il “Verso” va, come dice il nome, incontro a qualcosa, mentre il “Via da” se ne allontana.
Il “Verso” agirà quindi per ottenere ciò che vuole, minimizzando le difficoltà, esprimendosi senza nascondere i suoi obiettivi. Il “Via da” cercherà invece di allontanarsi da ciò che non vuole, si lascerà confondere dalle difficoltà e non riuscirà a definire i propri scopi.
Compito del mediatore che riconosca il meta programma della parte con cui si sta relazionando sarà allora quello di sfruttare l'importante informazione acquisita per creare il miglior legame comunicativo possibile e guidarla, motivarla a raggiungere un accordo. Agirà quindi facendo leva sui vantaggi di una certa azione, se si troverà di fronte una persona “Verso”, mentre marcherà i rischi evitati tramite il compimento di un'azione, se avrà a che fare con una persona “Via da”.
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Dai suddetti presupposti della corretta azione del mediatore, emergono immediatamente e specularmente i due principali problemi che il professionista dovrà affrontare ed evitare nella realtà di una mediazione:
1- non riuscire a riconoscere il meta programma sulla parte con la quale sta cercando di instaurare un legame comunicativo, e/o
2- non saperlo utilizzare per governare la mediazione e portarla all'esito favorevole.
IL CASO REALE
Due parenti in guerra da anni per una tormentata divisione ereditaria: due legali collaborativi ma esausti a causa delle innumerevoli trattative naufragate nel tempo. Una mediazione promossa solo per chiedere la reintegra nell'asse di una modesta somma prelevata da una parte senza il consenso dell'altra. Odii e veleni che intridono il tavolo di mediazione, rendendo arduo il governo della procedura, sin dal primo attimo.
Il mediatore lascia fluire le emozioni negative delle parti; aggressività, rancore, persino minacce di future vendette dall'oltretomba tracimano per minuti che sembrano infiniti da una parte verso l'altra, che resta in silenzio, ma stretta in un auto abbraccio che racconta molto della sua repressa sofferenza.
Ed anche l'aggressore, fiero del suo monologo di offese, in piedi, con l'indice in alto e paonazzo in viso, attraverso il suo sfogo mostra se stesso al mediatore; le sue malcelate debolezze, ma anche i punti di ancoraggio, determinanti per valutare le condizioni sulle quali poter negoziare.
E' chiaramente un “Via da”: non gli importa se non otterrà nulla dalla divisione. Non gli importa se dovrà passare gli anni della vecchiaia nelle aule dei tribunali, dando fondo ai risparmi di una vita per pagare le spese. Basta che l'avversario sia distrutto, annientato, rovinato. E non tanto economicamente, ma nella carriera professionale, nella reputazione, nell'anima stessa, cui augura dannazione eterna.
Per il “Via da” la mediazione è una inutile messa in scena; non si possono fare concessioni al nemico. Non si può correre il rischio di farsi convincere del contrario da uno sconosciuto che dice di voler aiutare entrambi (!) i guerreggianti a fare la pace.
Tutto sembra perduto, non traspare nessun punto di contatto al termine della prima sessione congiunta.
I legali delle parti, leali e collaboranti, non riescono, malgrado i loro sforzi, a far dialogare i rispettivi assistiti tra di loro, e sembrano attendere rassegnati la parola fine dalle labbra del mediatore.
Ma lui non si arrende: raccoglie la sfida lanciata dallo scettico e irriducibile “Via da” e dà inizio a lunghe e faticose sessioni separate, anche con le sole parti, senza la presenza dei legali (con il loro consenso).
La parte bersaglio dei dardi del “Via da” riesce così ad aprirsi, svelando il reale intento della propria istanza di mediazione: chiudere la divisione, includendo tutti i beni ereditari, e porre fine ad anni di sofferenze familiari.
Il “Via da” replica inizialmente il veemente monologo/ invettiva, intenzionalmente lasciato libero dal mediatore ma, poi, defluita l'ondata rabbiosa, rimpiazzata dalla fatica post oratoria, si lascia cadere sulla sedia, finalmente disposto ad ascoltare il parafrasare del mediatore, ed a raccontare di sè rispondendo a domande (aperte e circolari) che non lo mettono a disagio, ma, anzi, gli danno modo di ricordare di un bel passato lavorativo, e della stima goduta, che oggi questo nemico ingrato cresciutogli in casa vorrebbe offuscare, con accuse calunniose.
Ed è così che, dopo alcuni dietro front improvvisi ed un'altra sessione separata, la situazione si blocca di nuovo, apparentemente senza possibilità di uscita. Stavolta, raggiunto l'accordo di divisione su tutto il resto (denaro, conti correnti, immobili, arredi), è il contenuto di una cassaforte domestica ad accendere gli animi ed a far regredire le parti su posizioni iniziali di conflitto, faticosamente superate attraverso il lavoro svolto in mediazione.
Una manciata di oggetti preziosi, destinati, secondo la volontà della de cuius , al “Via da”, viene da quest'ultimo ipotizzata come fatta oggetto di riduzione dall'altra parte, mediante appropriazione non autorizzata.
Poche migliaia di euro di valore economico, ma di grande valore affettivo, che rischiano di distruggere i risultati raggiunti con le sessioni separate.
A questo punto il mediatore, forte delle informazioni raccolte durante tutti gli incontri, lavora sullo schema del “Via da”, attraverso domande e ricalco; sottolinea ed evidenzia i rischi di una scelta di “fuga” dalla mediazione: i costi di un giudizio di divisione, la sua durata, presumibilmente superiore all'aspettativa di vita dell'anziano “Via da”, le conseguenze negative sui suoi eredi di una probabile e scomoda eredità giudiziaria; la privazione della serenità negli anni che rimangono.
Ed allo stesso modo, ne analizza di fronte a lui i potenziali vantaggi: soddisfazione personale nella realizzazione della vendetta sui nemici di famiglia, possibile vantaggio economico in caso di vittoria del giudizio, riscatto della stima goduta in passato, oggi messa in ombra dalle accuse infamanti dei parenti sui suoi presunti “attingimenti” dall'asse ereditario.
Il “Via da” ascolta tutto, mostrando a tratti fastidio, ma elabora mentalmente il riassunto fatto dal mediatore, ed appare concentrato, pronto a rispondere alla domanda finale, così che, quando tenta nuovamente di “fuggire”, prendendo a pretesto la manciata di ori di famiglia mancanti dalla cassaforte a lui destinata, il mediatore lo ferma e gli chiede: “Signor Via da, sono questi i Tesori della Vita?”.
Il “Via da” scuote il capo, ha capito.
La parola fine è la sua firma, convinta e consapevole, in calce all'accordo.