Fin dalle origini della piccola, lenta ma inesorabile rivoluzione del nostro ordinamento giuridico, avviata con l’introduzione della mediazione civile e commerciale ad opera del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, tale istituto è stato generalmente vissuto come un mero obbligo, uno dei tanti adempimenti da assolvere nel lungo cammino del cittadino verso la giustizia.
In realtà, la mediazione civile è sempre stata, e oggi lo è più che mai, una preziosa opportunità offerta a tutte le persone che si trovano coinvolte, loro malgrado, in un conflitto e intendono risolverlo in modo soddisfacente, risparmiando tempo, energie e risorse economiche. Un’opportunità che va colta, con convinzione, per almeno cinque validi motivi:
1) La soluzione è nelle mani delle parti, ed è quella giusta.
Quante volte si sente parlare di sentenze “ingiuste”? Quante volte le persone coinvolte in un processo lamentano di non essere state ascoltate? Quante volte, le stesse persone, pur avendo ottenuto una sentenza favorevole, magari dopo anni di udienze, di liti, di spese, si sentono comunque insoddisfatte per l’esito del giudizio? Infinite.
L’esito di un processo, come sappiamo, non è mai scontato, non è mai certo e, ahinoi, non sempre garantisce il soddisfacimento di quell’ideale di giustizia al quale si aspira ogni volta che si sceglie di far valere le proprie ragioni davanti ad un giudice.
E allora, che si fa? Si rinuncia a risolvere la questione? Assolutamente no.
Per fortuna, da tempo il nostro ordinamento ha adottato e, con la recente riforma Cartabia, potenziato, un metodo di risoluzione delle controversie valido ed efficace, la mediazione civile. Si tratta di un metodo rientrante nella c.d. “giustizia alternativa o complementare” come definita nella relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, che permette alle persone di trovare una soluzione condivisa al loro conflitto. Una soluzione “giusta”.
In mediazione, infatti, non si sentirà mai parlare di accordo “ingiusto” o iniquo, sarebbe una contraddizione in termini, poiché l’accordo è il risultato del dialogo tra le parti, agevolato dal mediatore, con la fondamentale collaborazione degli avvocati. Le parti sono, in un certo senso, padrone del proprio destino, ossia hanno il potere, la facoltà e la responsabilità di gestire la controversia in ogni aspetto, perfino di ampliarne i confini, sia in senso oggettivo che soggettivo, a differenza di quanto accade nel giudizio ordinario, nel quale l’oggetto è fisso e immutabile.
Quindi in mediazione le parti porteranno le proprie storie, le proprie emozioni, le proprie esigenze e, naturalmente, le proprie richieste, e queste verranno accolte e ascoltate, con un unico obiettivo comune: un accordo “giusto” per tutti.
2) I tempi ridotti rispetto al processo.
In Italia, una causa civile, nei suoi tre gradi di giudizio, primo grado, appello e ricorso in Cassazione, dura non meno di sette anni. L’art. 6, comma 1, del d. lgs. 28/2010, nella sua attuale formulazione stabilisce che “il procedimento di mediazione ha una durata non superiore ai tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti”. Pertanto, pur considerando l’eventuale proroga concordemente decisa, le parti in mediazione hanno la possibilità di raggiungere un accordo entro un termine massimo di sei mesi.
3) Le conseguenze processuali (negative) in caso di mancata partecipazione al procedimento di mediazione.
Se è vero che scegliere la mediazione è sempre conveniente, è altrettanto vero che non sceglierla può comportare delle conseguenze negative piuttosto rilevanti sotto il profilo processuale.
Innanzitutto, quando il procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010, il suo mancato esperimento comporta la dichiarazione di improcedibilità della medesima da parte del giudice.
Ciò significa che, venendo meno un presupposto processuale fondamentale, ossia l’esperimento del procedimento di mediazione, il processo, pur instaurato, non potrà pervenire ad una pronuncia sul merito e il cittadino vedrà preclusa ogni possibilità di far valere le proprie ragioni in giudizio.
Nello specifico, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione, chi intende esercitare un’azione relativa a una controversia in materia di:
- condominio;
- diritti reali;
- divisione;
- successioni ereditarie;
- patti di famiglia;
- locazione, comodato;
- affitto di aziende;
- risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria;
- risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa;
- contratti assicurativi, bancari e finanziari;
- associazione in partecipazione;
- consorzio;
- franchising;
- opera;
- rete;
- subfornitura.
Oltre a tale fondamentale presupposto, l’art. 12-bis del d. lgs. 28/2010, introdotto dalla riforma Cartabia, specificatamente dedicato alle conseguenze processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione, ribadisce la possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’art. 116, secondo comma del codice di procedura civile, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro di mediazione (art. 12-bis, comma 1).
Nei casi in cui la mediazione sia condizione di procedibilità, il giudice:
- condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio (art. 12-bis, comma 2);
- nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, se richiesto, può condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione (art. 12-bis, comma 3);
- quando una delle parti è una pubblica amministrazione di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti, e copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti vigilati, all’autorità di vigilanza competente, come nelle ipotesi di banche o compagnie assicurative (art. 12-bis, comma 4).
4) I costi moderati e gli incentivi fiscali.
Un ulteriore aspetto che rende senza dubbio vantaggiosa la scelta della mediazione civile è quello legato ai costi e alle spese della procedura e, non da ultimo, agli incentivi fiscali, sui quali la riforma Cartabia ha inciso fortemente, ampliandone i confini e prevedendo una più efficace regolamentazione.
A tale proposito, è utile tenere presente che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie o natura (art. 17, comma 1 del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28) e che il verbale contenente l’accordo di conciliazione è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di centomila euro, in precedenza fissato in cinquantamila euro (art. 17, comma 2 d. lgs. n. 28/2010).
Inoltre, nell’ipotesi in cui una parte si trovi nelle condizioni di essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato, e la materia rientri tra quelle per cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell’art. 5, comma 1 del d. lgs. 28/2010 e ai sensi dell’art. 5-quater, comma 1 ossia nell’ipotesi di mediazione demandata dal giudice la parte non dovrà versare alcuna indennità (art. 17, comma 6).
Oltre ai costi e alle spese ridotti, la mediazione è indubbiamente conveniente anche sotto il profilo fiscale. Innanzitutto, quando viene raggiunto l’accordo di conciliazione, alle parti è riconosciuto un credito d’imposta commisurato all’indennità corrisposta ai sensi dell’articolo 17, commi 3 e 4, fino a concorrenza di euro 600 (art. 20, comma 1) e nei casi di cui all’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, alle parti è altresì riconosciuto un credito d’imposta commisurato al compenso corrisposto al proprio avvocato per l’assistenza nella procedura di mediazione, nei limiti previsti dai parametri forensi e fino a concorrenza di euro seicento (art. 20, comma 1).
5) Il titolo esecutivo.
L’accordo raggiunto in mediazione, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivoper l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, comma 1, d. lgs. 28/2010).
Pertanto, nell’ipotesi in cui una delle parti non rispetti le statuizioni dell’accordo, l’altra parte avrà la possibilità di farne valere il contenuto, mettendolo in esecuzione.
Infine, oltre a prendere in considerazione i cinque motivi sopra illustrati, nel momento in cui ci si accinge a scegliere se partecipare o meno a un procedimento di mediazione, è opportuno chiedersi se l’obiettivo che si persegue sia la ricerca a tutti i costi di torti e ragioni, mantenendo vivo un conflitto che toglie energie e pace, oppure sia quello di risolvere il medesimo conflitto in modo costruttivo e sano, per sé stessi e per tutte le persone coinvolte nella vicenda.
Se la risposta è quest’ultima, allora va da sé che è giunto il momento di dare alla mediazione una possibilità.