Il termine di quindici giorni disposto dal giudice per dar corso alla mediazione delegata non è perentorio secondo la Cassazione

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Avv. Francesca  Caramia

Cassazione, Sez. III, 14.2.2024, ordinanza n. 4133, relatore Marilena Gorgoni

A cura del Mediatore Avv. Francesca Caramia da Bologna.
Letto 1182 dal 20/02/2024

Commento:

Il Tribunale di Firenze dichiarava improcedibile l’opposizione promossa dagli eredi xxx avverso il decreto ingiuntivo azionato da yyy a titolo di penale contrattuale dovuta da uno degli eredi per l’ingiustificato recesso da un contratto agricolo. Il Tribunale riteneva non rispettato il termine di quindici giorni assegnato, con ordinanza per il deposito dell’istanza di avvio della mediazione delegata, rilevando, d’ufficio, che il procedimento di mediazione risultava avviato il 20 marzo 2014, che l’istanza depositata il 4 marzo 2014 non conteneva una richiesta di proroga d’ufficio e rigettava la successiva richiesta di rimessione in termini.
La Corte d’appello aveva accolto l’impugnazione principale e revocato il decreto ingiuntivo rigettando la domanda degli eredi xxx di condanna ex art. 96 cod.proc.civ. del sig. yyy e aveva inoltre respinto l’appello incidentale di quest’ultimo. La Corte d’appello aveva ritenuto non corretta la statuizione del Tribunale che aveva dichiarato improcedibile l’opposizione al decreto ingiuntivo in ragione del fatto che era stata proposta tardivamente, rispetto al termine di 15 giorni assegnato.
Ricorreva per cassazione il sig. yyy di cui due motivi riguardanti la mediazione:
-con il primo, denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 5.2 del d.lgs. n. 28/2010 e dell’art. 12 disp. legge in generale, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, n. 4 e n. 5, cod.proc.civ.(il giudice a quo avrebbe erroneamente applicato la giurisprudenza della Corte di Cassazione relativa all’ipotesi di adempimento dell’iscrizione a ruolo con la velina in attesa del ritorno dell’originale con la relata di notifica, pervenendo così all’erronea decisione di ritenere il termine assegnato dal giudice non solo ordinatorio, ma anche fungibile con quello di conclusione del procedimento di mediazione).
-con il secondo, lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cos. e degli artt. 125 e 132 cod.proc.civ., per motivazione inesistente o meramente apparente, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod.proc.civ.; il giudice a quo avrebbe ritenuto ordinatorio il termine di quindici giorni, assegnato con l’ordinanza, senza verificare se la perentorietà, pur non espressamente affermata dal d.lgs. n. 28/2010, non potesse discendere dallo scopo e dalla funzione adempiuta, e senza motivare la ragione per cui ha ritenuto di modificare la statuizione del Tribunale che aveva ritenuto perentorio il termine proprio in via interpretativa, cioè tenendo conto dello scopo e delle funzioni ad esso assegnabili.
I primi due motivi vengono ritenuti infondati dalla Corte con richiamo al noto arresto n. n. 40035 del 14/12/2021, negando carattere di perentorietà al termine di quindici giorni disposto dal giudice per dar corso alla mediazione delegata e ritenendo soddisfatta la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 se, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, vi sia stato il primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo. La Corte ribadisce che il legislatore non ha collegato la dichiarazione di improcedibilità al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda, bensì al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione.
Tale scelta è
  • “coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni;
  • ha il conforto dell’art. 152, 2° comma, cod.proc.civ., posto che il termine di quindici giorni non è stato qualificato come perentorio;
  • compatibile con la ratio legis sottesa;
  • alla mediazione obbligatoria ope iudicis, consistente nella ricerca della soluzione migliore possibile per le parti;
  • è coerente con il principio della ragionevole durata del processo. °

Testo integrale:
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4133 Anno 2024 Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO Relatore: GORGONI MARILENA
Data pubblicazione: 14/02/2024

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22690/2020 R.G. proposto da:
YYY, rappresentato e difeso dall'avvocato ----
-ricorrente-
contro
XXX, elettivamente domiciliati in ROMA, , presso lo studio dell’avvocato ----), rappresentati e difesi dagli avvocati ----;
e sul ricorso incidentale condizionato proposto da:
-controricorrenti-
XXX, elettivamente domiciliati in ROMA, 5, presso lo studio dell’avvocato ----- rappresentati e difesi dagli avvocati ----
nei confronti di
-ricorrenti incidentali-
-intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di FIRENZE n. 65/2020 depositata il 13/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/02/2024 dal Consigliere MARILENA GORGONI.
Rilevato in fatto che:
il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 3191/2015, dichiarava improcedibile l’opposizione promossa dagli YYY avverso il decreto ingiuntivo azionato da XXX per l’importo di euro 169.414,00 a titolo di penale contrattuale dovuta da YY per l’ingiustificato recesso dal contratto di spandimento fanghi di depurazione agricola stipulato in data 28 aprile 2000; segnatamente, il Tribunale riteneva non rispettato il termine di quindici giorni assegnato, con ordinanza del 20 febbraio 2014, per il deposito dell’istanza di avvio della mediazione delegata, rilevando, d’ufficio, che il procedimento di mediazione risultava avviato il 20 marzo 2014, che la istanza depositata il 4 marzo 2014 non conteneva una richiesta di proroga d’ufficio e rigettava la successiva richiesta di rimessione in termini;
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la Corte d’appello, investita del gravame, in via principale, dagli YYY e, in via incidentale, da XXX, con la sentenza n. 65/2020, resa pubblica in data 13 gennaio 2020, ha accolto l’impugnazione principale, ha, quindi, revocato il decreto ingiuntivo n. 1889/2011, ha rigettato la domanda degli YYY di condanna ex art. 96 cod.proc.civ. di XXX; ha respinto l’appello incidentale di quest’ultimo ed ha regolato le spese di lite, secondo il principio della soccombenza;
segnatamente la Corte d’appello ha ritenuto non corretta la statuizione del Tribunale che aveva dichiarato improcedibile la opposizione al decreto ingiuntivo in ragione del fatto che era stata proposta tardivamente, rispetto al termine di 15 giorni assegnato, l’istanza ad un organismo di mediazione abilitato, in quanto: a) il termine di 15 giorni era ordinatorio, ai sensi dell’art. 152 cod.proc.civ.; b) per l’avveramento della condizione di procedibilità non bastava che il termine ordinatorio non fosse stato rispettato, occorrendo che il primo intervento di mediazione non avesse avuto luogo prima della data dell’udienza di rinvio (13 novembre 2014); c) l’istanza del 4 marzo di revoca dell’avvio della mediazione avrebbe potuto essere interpretata come istanza di proroga del termine ordinatorio, ex art. 154 cod.proc.civ.;
ha ritenuto che non meritasse accoglimento l’eccezione di incompetenza del Tribunale di Firenze, basata sull’inefficacia, ex art. 1341 cod.civ., della clausola derogatoria di cui al contratto del 28 aprile 2000, perché non vi erano i presupposti per ritenere applicabile la disciplina relativa alle clausole vessatorie;
ha rilevato che: il contratto di spandimento di fanghi da parte di XXXX sui terrenti dell’azienda di YY era sottoposto alla condizione sospensiva del rilascio dell’autorizzazione provinciale a cura e spese di XXX; detta condizione si era verificata e, quindi, il contratto aveva assunto efficacia; XXX dal 16 novembre 2000 fino al 25 aprile 2001
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(data del decesso di YY), non avendo avuto la disponibilità di fanghi da spandere, non aveva subito alcun danno; dopo la morte di YY la autorizzazione provinciale non era stata volturata e pertanto la prestazione non poteva essere più eseguita, con conseguente insussistenza di alcun inadempimento da parte degli YYY; non vi era stata la violazione del patto di esclusiva, perché lo spandimento dei fanghi era stato autorizzato a favore di una società di cui XXX era socio insieme con i suoi fratelli;
XXX ricorre avverso detta sentenza, formulando quattro motivi;
resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale condizionato XXX;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod.proc.civ.;
i controricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato in diritto che:
Ricorso principale di XXX
1) con il primo motivo sono denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 5.2 del d.lgs. n. 28/2010 e dell’art. 12 disp. legge in generale, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, n. 4 e n. 5, cod.proc.civ. ;
secondo il ricorrente, il giudice a quo avrebbe erroneamente applicato la giurisprudenza di questa Corte relativa all’ipotesi di adempimento dell’iscrizione a ruolo con la velina in attesa del ritorno dell’originale con la relata di notifica, pervenendo così all’erronea decisione di ritenere il termine assegnato dal giudice non solo ordinatorio, ma anche fungibile con quello di conclusione del procedimento di mediazione;
2) con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cos. e degli artt. 125 e 132
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cod.proc.civ., per motivazione inesistente o meramente apparente, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod.proc.civ.;
il giudice a quo avrebbe stravolto il contenuto del provvedimento n. 1064/2005 di questa Corte, avendo ritenuto ordinatorio il termine di quindici giorni, assegnato con l’ordinanza, senza verificare se la perentorietà, pur non espressamente affermata dal d.lgs. n. 28/2010, non potesse discendere dallo scopo e dalla funzione adempiuta, e senza motivare la ragione per cui ha ritenuto di modificare la statuizione del Tribunale che aveva ritenuto perentorio il termine proprio in via interpretativa, cioè tenendo conto dello scopo e delle funzioni ad esso assegnabili;
3) i primi due motivi, che attengono alla stessa questione e che per tale ragione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati;
questa Corte ha già affrontato questa specifica questione con la pronuncia n. 40035 del 14/12/2021, negando carattere di perentorietà al termine di quindici giorni disposto dal giudice per dar corso alla mediazione delegata e ritenendo soddisfatta la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 se, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, vi sia stato il primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo;
tale conclusione che il Collegio condivide e intende ribadire si basa sul rilievo che deve essere attribuito al tenore letterale della prescrizione di cui all’art. 5, comma 2 bis, del d.lgs. n. 28/2010, a mente del quale "quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo"; segno che il legislatore non ha collegato la dichiarazione di improcedibilità al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda, bensì al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione;
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tale lettura – ha chiarito questa Corte – risulta:
i) “coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, e tale rimasto anche nella disciplina risultata a seguito della riforma legislativa del 2013, che non è intervenuta sul punto”;
ii) ha il conforto dell’art. 152, 2° comma, cod.proc.civ. , posto che il termine di quindici giorni non è stato qualificato come perentorio;
iii) è confermata dalla necessità che il giudice fissi una successiva udienza tenendo conto della scadenza del termine massimo della
durata della mediazione;
iv) è compatibile con la ratio legis sottesa
alla mediazione obbligatoria ope iudicis, consistente nella ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche che poco si concilierebbero con la tesi della natura perentoria del termine, atteso che finirebbe per frustrare l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo;
v) è coerente con il principio della ragionevole durata del processo, perché la verifica all'udienza fissata D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5,comma 2, è già ricompresa nell'intervallo temporale delimitato dalla previsione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 7, a mente del quale "Il periodo di cui all'art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2";
4) con il terzo motivo il ricorrente imputa alla Corte d’appello la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 125 e 132 cod.proc.civ., per motivazione inesistente o meramente apparente;
attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’Appello ha interpretato l’istanza del 4 marzo 2003 di revoca dell’invio della mediazione come istanza di proroga chiesta tempestivamente;
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detta istanza era così formulata: “il termine non perentorio indicato dal giudice per l’attivazione della mediaconciliazione scade il 7/3/2014, i XXX  non introdurranno la procedura fino alla nuova decisione del Giudice, ma qualora il Giudice non confermi l’opportunità di uno svolgimento immediato comunicano sin d’ora che si faranno parti diligenti in tal senso”;
l’interpretazione attribuitale dal giudice a quo sarebbe errata, secondo il ricorrente, perché contrasterebbe con il tenore letterale dell’istanza da cui era dato evincere che la richiesta degli eredi di YY non era quella di prorogare un termine in scadenza, bensì quella di ottenere una modifica del contenuto dispositivo del provvedimento del giudice;
il motivo è inammissibile;
non v’è ragione di scrutinarlo, atteso che con la statuizione di cui al § 3 della impugnata sentenza, il giudice a quo ha enunciato una ratio decidendi ulteriore a sostegno della riforma della pronuncia del Tribunale (Cass. 18/04/2019, n. 18015);
l’impugnazione di una sentenza basata, come in questa caso, su più rationes decidendi, deve essere tale da attingerle tutte ed utilmente, giacché se anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, non vi è interesse all’impugnazione dell’altra o delle altre; quand’anche le censure mosse ad una delle rationes decidendi dovesse ritenersi fondata l’impugnazione non potrebbe conseguire alcun risultato pratico, restando il provvedimento impugnato autonomamente giustificato dall’altra o dalle altre argomentazioni non efficacemente censurate.
(così, ex plurimis, Cass. 11/05/2018, n. 11493 e successiva giurisprudenza conforme);
5) con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 125 e 132 cod.proc.civ., per motivazione inesistente o meramente apparente;
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la sentenza impugnata non avrebbe dato conto delle ragioni per cui ha escluso che nel periodo di vigenza dell’autorizzazione provinciale - segnatamente dal 17 novembre 2000 al 25 aprile 2001 - avesse subito un danno; avrebbe fatto riferimento a quanto verificato dal CTU e cioè che non aveva la disponibilità di fanghi da spandere, ma lo avrebbe fatto senza considerare le censure mosse all’elaborato del CTU, formulate in primo grado e reiterate nel giudizio di appello;
il motivo non merita accoglimento;
a p. 22 del ricorso il ricorrente riproduce i motivi posti a fondamento della sua istanza di rinnovazione della CTU, consistenti nel fatto che il CTU avrebbe espresso un giudizio sul fatto e avrebbe interpretato il contratto intercorso tra le parti, cioè avrebbe svolto un’attività di spettanza del giudice, quando aveva assunto nella sua relazione che non erano stati esibiti i contratti con cui erano stati conferiti i fanghi provenienti dai depuratori di cui all’autorizzazione provinciale, che non emergeva alcuna richiesta di conferimento di fanghi agli eredi di YY e che, di conseguenza, il decesso di YY non aveva determinato alcuna conseguenza sulla quantità di fanghi rimasta inutilizzata, e nel fatto di aver documentato di avere svolto le attività propedeutiche all’ottenimento dell’autorizzazione provinciale (aveva preso contatti con l’azienda Acam Ambiente S.p.A. per lo smaltimento dei fanghi prodotti dalla Acam Stagnoni e dalla Acam Camisano, aveva indicato all’autorità amministrativa la tipologia dei fanghi da smaltire, l’ubicazione e le caratteristiche dell’impianto di stoccaggio e dei mezzi adoperati per il loro spandimento);
le critiche mosse alla CTU di cui il giudice non avrebbe tenuto conto, essendosi limitato a recepire la CTU, per portare alla cassazione della sentenza impugnata devono essere precise, circostanziate e decisive, cioè tali che se esaminate dal giudice avrebbero portato ad una statuizione diversa;
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ora, non è in discussione il fatto che XXX si fosse adoperato per ottenere l’autorizzazione provinciale – la Corte d’appello, infatti, a p. 8, ha precisato che l’autorizzazione era stata ottenuta, e che quindi il contratto era efficace, essendosi verificato l’evento dedotto nella condizione sospensiva – ma se avesse subito un danno, consistente nel non aver potuto spandere i fanghi;
nessuna delle ragioni poste a fondamento delle censure mosse al CTU è in grado di incrinare la statuizione della Corte d’Appello che ha condiviso la CTU nella parte in cui aveva accertato che la quantità di fanghi rimasta inutilizzata a seguito del decesso di YY era pari a 0; per confutare efficacemente tale statuizione XXX avrebbe dovuto dimostrare non già il soddisfacimento delle condizioni per ottenere l’autorizzazione provinciale, compreso il reperimento dei fanghi da spandere, ma che avesse acquisito i suddetti fanghi e si fosse trovato nell’impossibilità di spanderli per causa imputabile alla controparte.
Ricorso incidentale condizionato
6) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. , in combinato disposto con l’art. 5, comma 1 bis e comma 2, del d.lgs. n. 28/2010, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.;
secondo i ricorrenti il Tribunale di Firenze non aveva il potere di rilevare e dichiarare l’improcedibilità della domanda giudiziale oltre la prima udienza successiva all’esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria;
7) con il secondo motivo i ricorrenti imputano alla Corte d’appello di aver violato l’art. 112 cod.proc.civ., in combinato disposto con l’art. 5, comma 1 bis e comma 2, d.lgs. n. 28/2010, in combinato disposto con gli artt. 633 e ss., 640 e 645 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.;
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atteso che la pronuncia a Sezioni Unite n. 19956/2020 ha enunciato il principio, a mente del quale, nelle materie sottoposte a mediazione obbligatoria, i cui giudizi vengano introdotti con decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta, ove questa non si attivi alla pronuncia di improcedibilità deve conseguire la revoca del decreto ingiuntivo opposto; tale principio dovrebbe trovare applicazione anche nelle ipotesi di mediazione delegata, perché l’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 fa salvo quanto previsto dal comma 1 bis;
8) per le ragioni esposte, il ricorso principale va rigettato; ne consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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Chi è l'autore
Avv. Francesca  Caramia Mediatore Avv. Francesca Caramia
Ho conseguito la laurea con lode presso La Sapienza di Roma nel 2003; ho dedicato i primi anni della mia formazione al lungo e faticoso percorso notarile ed ora vivo a Bologna, dove esercito la professione di Avvocato dal 2014.
Il mio interesse verso le tecniche di comunicazione e di gestione dei conflitti mi ha avvicinato allo studio della mediazione; istituto in cui credo fermamente perché ritengo che un accordo condiviso dalle Parti rappresenti la migliore soluzione ad ogni problema.





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