Intervento del dott. Ernesto Lupo, primo Presidente della Corte di Cassazione.
Gli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione (ADR), pur non potendo essere considerati direttamente come strumenti generali di deflazione del contenzioso, ma costituendo più propriamente forme di risposta a domande di giustizia di particolare natura, possono certamente fornire un contributo alla riduzione dell'accesso alle corti o quanto meno alla riduzione del numero delle decisioni giudiziarie. Nella valutazione di tali strumenti, la CEPEJ ha individuato tre diverse tipologie di procedimento, la mediazione, la conciliazione e l'arbitrato, non sempre presenti negli ordinamenti di tutti gli Stati e spesso differenziate secondo criteri diversi (ad esempio, il patteggiamento della pena è considerato una forma di mediazione in Francia, ma non in Italia e nei Paesi Bassi).
(…) Com'è noto, con sentenza n. 272 del 2012 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, emanato dal Governo in attuazione della delega conferita dall'art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nella parte in cui, nel disciplinare la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, prevedeva, all'art. 5, comma 1, l'obbligatorietà del ricorso a tale strumento alternativo di definizione delle controversie, condizionando, in numerose tipologie di controversie civili, la procedibilità della domanda giudiziale al preventivo esperimento del procedimento di mediazione.
Nelle precedenti relazioni sull'amministrazione della giustizia, pur esprimendosi qualche riserva in ordine alla disciplina specificamente dettata dal decreto legislativo, in particolare con riguardo alla genericità dell'indicazione delle categorie di controversie assoggettate all'obbligo di mediazione, si era formulato un giudizio complessivamente positivo in ordine all'istituto in esame, evidenziandosi l'idoneità dello stesso a favorire una riduzione della durata dei processi civili attraverso la rimozione della principale causa di tale fenomeno, comunemente individuata nell'incapacità del nostro sistema giudiziario di far fronte ad una domanda di giustizia in costante crescita.
La brevità del periodo in cui la normativa ha avuto applicazione nel suo testo originario non ha consentito di verificare appieno la fondatezza di tali auspici, soprattutto con riguardo alle controversie in materia di condominio e risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, per le quali l'obbligo della mediazione è entrato in vigore soltanto il 20 marzo 2012 (a differenza delle controversie in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, per le quali ha trovato applicazione dal 21 marzo 2011). Ciò che può dirsi, peraltro, sulla base dei dati statistici forniti dal Ministero della giustizia (DGStat), è che il procedimento in questione ha avuto ampia applicazione non solo nelle controversie, come quelle in materia di diritti reali (19,3% dei casi), locazione (12,7% dei casi), divisione (5,6% dei casi), successioni ereditarie (3,3% dei casi), in cui il raggiungimento di un accordo tra le parti è agevolato dalla natura personale dei rapporti intercorrenti tra le parti e dal carattere non seriale degli interessi coinvolti, ma anche nelle controversie che, come quelle in materia dicontratti bancari (9,1% dei casi) e assicurativi (8,3% dei casi), investono prevalentemente rapporti di massa.
L'efficacia deflativa dell'istituto trova poi conferma nella costatazione che, là dove le parti vi hanno fatto ricorso, esso si è rivelato realmente capace di favorire una soluzione conciliativa della controversia, avendo condotto ad una definizione concordata nel 46,4% dei casi in cui entrambe le parti sono comparse78. Positivo sarebbe potuto risultare il giudizio anche in ordine al livello di adesione delle parti alla procedura, in costante incremento (dal 26% al 35,7%) dall'entrata in vigore del decreto legislativo fino al momento in cui l'obbligo della mediazione è divenuto applicabile anche alle controversie in materia di risarcimento dei danni derivanti da circolazione dei veicoli e natanti, se su tale dato non avesse pesato in misura determinante l'atteggiamento di sfiducia, se non addirittura di preconcetta opposizione, manifestato dalle compagnie di assicurazione, le quali si sono astenute sistematicamente dal comparire dinanzi ai mediatori.
Questi rilievi, unitamente alla considerazione che nel 16% dei casi le parti hanno scelto di percorrere la strada della mediazione senza esservi costrette da alcuna disposizione di legge, dovrebbero indurre a meditare approfonditamente sulla convenienza di abbandonare al proprio destino un istituto la cui disciplina, opportunamente rimodulata alla luce della pronuncia d'illegittimità costituzionale, potrebbe contribuire a fornire una risposta tempestiva ed efficace alle esigenze di tutela nei rapporti tra privati.
In tale prospettiva, pur dovendosi prendere atto che, come ritenuto dal Giudice delle leggi, l'obbligatorietà del ricorso alla mediazione, assunta dal legislatore delegato quale profilo caratterizzante nella disciplina dell'istituto, non trovava adeguato riscontro nei principi e criteri direttivi enunciati dalla legge delega, ispirati invece alla volontarietà dell'iniziativa e all'intento di promuoverne la diffusione mediante la previsione di incentivi di carattere fiscale, non può non osservarsi che la scelta di favorire l'utilizzazione di strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione risponde ad esigenze di deflazione del contenzioso e di miglioramento dell'accesso alla giustizia fatte proprie anche dagli organi dell'Unione europea.Significativa, al riguardo, è la circostanza che, nel rilevare il difetto di delega, la Corte costituzionale abbia avvertito la necessità di sottolineare il legame dell'art. 60 della legge n. 69 del 2009 e del d.lgs. n. 28 del 2010 con i seguenti atti comunitari: a) la risoluzione del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, avente ad oggetto la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea; b) la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, nella quale si afferma esplicitamente che la mediazione «può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale», aggiungendosi che «gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti»; c) la risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011, sui metodi alternativi di soluzione delle controversie in materia civile, commerciale e familiare, nella quale, pur escludendosi l'imposizione generalizzata di un sistema obbligatorio di ADR a livello di UE, si prevede la possibilità di valutare un meccanismo obbligatorio per la presentazione dei reclami delle parti al fine di esaminare la possibilità di ADR; d) la risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011, nella quale, passandosi in rassegna le modalità con cui alcuni Stati membri hanno proceduto all'attuazione della direttiva sulla mediazione, si osserva che «nel sistema giuridico italiano la mediazione obbligatoria sembra raggiungere l'obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali».
E' pur vero che dai predetti atti non si desume alcuna opzione esplicita o implicita a favore del carattere obbligatorio della mediazione, in quanto il legislatore comunitario si è preoccupato soltanto di disciplinare le modalità secondo le quali il procedimento può essere strutturato, senza imporre né consigliare l'adozione del modello obbligatorio, ma limitandosi a stabilire che resta impregiudicata la legislazione che rende obbligatorio il ricorso alla mediazione (cfr. art. 5, comma 2, della direttiva 2008/52/CE). Peraltro, come ha rilevato lo stesso Giudice delle leggi, la Corte di giustizia UE, nella sentenza 18 marzo 2012, in causa C-317/08 ha riconosciuto, sia pure come obiter dictume in riferimento a specifiche fattispecie, quantitativamente limitate e con una struttura peculiare, l'inesistenza di «un'alternativa meno vincolante alla predisposizione di una procedura obbligatoria, perché l'introduzione di una procedura extragiudiziale meramente facoltativa non costituirebbe uno strumento altrettanto efficace per la realizzazione degli obiettivi perseguiti».
La fine anticipata della legislatura ha impedito l'esame di proposte di modificazione della disciplina della mediazione, idonee a vincere le resistenze culturali nei confronti di modalità innovative di gestione dei conflitti civili, attraverso l'imposizione quanto meno iniziale dell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione in alcune materie, magari temperata dalla previsione di una procedura meno gravosa nelle liti in cui esso ha minori chances di successo: mi riferisco, in particolare, alla proposta di rendere obbligatorio non il tentativo di conciliazione, ma solo quello di un incontro preliminare con il mediatore, al fine di valutare in concreto l'opportunità di procedere al tentativo, ovvero di porvi termine in quella sede, con costi e tempi decisamente inferiori.
Nell'attesa che il nuovo Parlamento prenda in esame proposte simili ed altre volte a favorire il ricorso alla mediazione, non può che ribadirsi quanto già affermato nelle relazioni sull'amministrazione della giustizia degli scorsi anni, e cioè che il successo d'interventi legislativi volti ad apprestare e promuovere l'utilizzazione di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie esige un forte coinvolgimento di tutti i potenziali attori del processo, e quindi non solo delle parti, cui si richiede «una salda fiducia nella possibilità di trovare un accomodamento dinanzi al mediatore», ma anche della classe forense, chiamata a recuperare «la vocazione alla conciliazione delle parti in conflitto, che il nostro ordinamento assegna all'avvocato come fisiologico ruolo funzionale alla piena realizzazione della tutela dei diritti». Neppure va sottovalutata l'importanza dell'iniziativa del giudice, la cui facoltà di invitare le parti a tentare la mediazione, finora sottoutilizzata (2,8% dei casi), potrebbe contribuire a promuoverne la diffusione, soprattutto se accompagnata da un adeguato monitoraggio degli esiti di tale invito.
La praticabilità di questi interventi è testimoniata dagli stessi dati statistici relativi al breve periodo di applicazione del decreto legislativo, dai quali risultano, oltre alla già menzionata disponibilità delle parti ad avvalersi della mediazione al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge, l'ampio ricorso dei contendenti all'assistenza legale (della quale si sono avvalsi l'84% dei proponenti e l'85% degli aderenti), che non ha rappresentato un ostacolo al conseguimento dei risultati positivi già segnalati (raggiungimento dell'accordo nel 46% dei casi), nonché i vantaggi derivanti dalla mediazione in termini di risparmio di tempo, o quanto meno l'inesistenza di svantaggi in termini di dilatazione dei tempi processuali (dal momento che la durata dei procedimenti non è risultata superiore ai 77 giorni, rispetto ad una durata del processo di primo grado che si aggira mediamente sui 1.066 giorni).
Intervento del dott. Gianfranco Ciani, Procuratore Generale della Corte Suprema di Cassazione.
(…)D’altra parte, a causa della recente dichiarazione di incostituzionalità dell’obbligo di mediazione civile in talune materie (sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012), è rimandata al futuro la valutazione dell’incidenza di tale strumento sull’efficienza e sulla razionalizzazione della giustizia italiana: anche se si tratta di uno strumento che trova larga ed efficace applicazione in molti paesi del nord Europa e negli Stati Uniti (dove il 90% delle controversie si conclude con la conciliazione), non deve comunque essere dato automaticamente per scontato un suo analogo successo nel nostro paese, caratterizzato da peculiarità sue proprie, come l’alta litigiosità rappresentata anche dal rapporto avvocati/giudici (32 a 1) e soprattutto dal rapporto avvocati/abitanti (332 ogni 100.000 abitanti), che si connota come il più alto in Europa e forse nel mondo (per fare un esempio, nella vicina Francia il numero di cause introdotte annualmente è circa la metà di quello riferito all’Italia, il numero degli iscritti all’ordine professionale è di 8 per singolo giudice, mentre il rapporto avvocati/abitanti è di 75 ogni 100.000).
(…) È auspicabile che miglior sorte abbia la istituzione del c.d. tribunale dell’impresa decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività) convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27 –, la quale dovrebbe avere una funzione acceleratoria nella definizione delle controversie commerciali (che tanto interessano anche le imprese e gli investitori stranieri) e che sia reintrodotta la mediazione civile obbligatoria, non preclusa dalla sentenza della Corte costituzionale 6 dicembre 2012, n. 272, che ne ha dichiarato la incostituzionalità per eccesso di delega dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, con il quale quello strumento era stato introdotto nel nostro ordinamento.
Avv. Prof. Guido Alpa, Presidente Consiglio Nazionale Forense
Per il Presidente del Consiglio Nazionale Forense occorre attribuire la giusta importanza all’adozione dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie preferendo lo strumento della mediazione facoltativa a quella obbligatoria, quest’ultima vera e propria barriera all’accesso della giustizia
«Il nuovo ordinamento forense» – precisa Alpa - «offre agli Ordini forensi la possibilità di istituire camere arbitrali e di conciliazione per risolvere il contenzioso mediante procedure più snelle, che potrebbero consentire non solo un miglior accesso alla giustizia da parte degli abitanti del distretto ma anche una consistente riduzione del carico di lavoro dei giudici ordinari. A questo proposito tra le molteplici iniziative che si potrebbero assumere per ridurre questo grave fardello che rallenta e ostacola l’assolvimento efficiente della funzione giurisdizionale, val la pena di riprendere la proposta che permette al giudice ordinario di affidare ad arbitri o a conciliatori la causa ormai matura, per poter liberare gli uffici da vicende facilmente risolubili senza detrimento per l’interesse pubblico e con vantaggio per le parti».
Avv. Prof. Paola Severino, Ministro della Giustizia
(…)Sono state estese (DL 212/2012), a partire dal 21 marzo 2012, le materie oggetto di media conciliazione obbligatoria (a condominio e RC auto). La media conciliazione è stata successivamente dichiarata incostituzionale, ma sono allo studio nuove proposte di disciplina della mediazione civile obbligatoria.
Quest’ultima, nei venti mesi di operatività (marzo 2010 ottobre 2012), ha visto circa 210.000 mediazioni con una percentuale del 48% di accordi raggiunti quando le parti si sono presentate. Va tuttavia registrato come solo nel 31% dei casi in cui era obbligatoria la mediazione, le parti si sono presentate.
Del pari importante appare l’avvio di una riflessione sul tema della mediazione. La declaratoria di illegittimità costituzionale della norma sulla mediazione civile obbligatoria dovrebbe essere colta come occasione per ridisegnare la disciplina valutandone l’ambito oggettivo e apportando possibili migliorie, ad esempio rivisitando le materie in cui la mediazione è più efficace ed opportuna, ma anche per individuare incentivi idonei a favorirla, quando utile. L’analisi dell’esperienza maturata durante l’operatività della legge può rappresentare una guida importante.
Anche in questo ambito sono state formulate proposte da cui prendere le mosse per un futuro intervento.
Avv. Michele Vietti, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura
Nell'ottica di assicurare efficaci strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, capaci di deflazionare l'insostenibile domanda di giustizia ordinaria, l'obbligatorieta' della mediazione e' un principio da non abbandonare, pur nel rispetto della pronuncia della Corte costituzionale.