Testo integrale:
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele - Presidente
Dott. CIRILLO Francesco Maria - Consigliere Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna - Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime - Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente ORDINANZA
sul ricorso 13060-2021 proposto da:
ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA SCUOLA CALCIO (...) CF, in persona del legale rappresentante "pro tempore", domiciliata presso l'indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall'Avvocato Sa.SI.;
PARROCCHIA DI S, in persona del legale rappresentante "pro tempore", domiciliata presso l'indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall'Avvocato Ro.CI.;
Avverso la sentenza n. 1144/2020 della Corte d'Appello di Salerno, depositata in data 20/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nell'adunanza camerale del 25/01/24 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.
FATTI DI CAUSA
- L'Associazione Sportiva Dilettantistica Scuola Calcio (...) (d'ora in poi, "(...)") ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1144/20, del 20 novembre 2020, della Corte d'Appello di Salerno, che - accogliendone solo in parte il gravame avverso la sentenza n. 922/18, del 20 marzo 2018, del Tribunale di Salerno, in particolare dichiarando inammissibile la domanda proposta dalla Parrocchia di S, tesa a ottenere la condanna di (...) al pagamento dei "canoni scaduti ed a scadere fino al rilascio", in relazione al contratto di locazione immobiliare, ad uso non abitativo, corrente "inter partes", trattandosi di questione coperta da giudicato - ha, invece, confermato la risoluzione del contratto, per grave inadempimento della conduttrice (...), disponendo il rilascio dell'immobile, laddove non ancora avvenuto, alla data del 30 aprile 2018.
- Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente che la Parrocchia di S (d'ora in poi, "la Parrocchia"), nell'anno 2016, ebbe ad intimarle sfratto per morosità, a causa del mancato pagamento di nove mensilità del canone di locazione (da aprile a dicembre del 2015), in relazione al contratto con il quale aveva locato all'(...) un immobile, con destinazione a campo di calcio.
Siffatta iniziativa era stata assunta non senza evidenziare che, con precedente ricorso ex art. 447- bis cod. proc. civ., la medesima Parrocchia aveva chiesto risolversi il contratto quo", in ragione del mancato pagamento - da agosto 2011 a novembre 2012 - della somma di Euro 400,00 mensili, quale differenza, non corrisposta, del canone di locazione, dovuta a titolo di adeguamento dello stesso. L'esito di tale primo giudizio, nel quale l'(...) si era costituita non solo per resistere all'avversaria domanda, ma per svolgere riconvenzionale (diretta alla restituzione degli oneri economici sostenuti per la messa in sicurezza dell'immobile e per miglioramenti), era inizialmente consistito - sentenza n. 3371/14, del medesimo Tribunale di Salerno - nell'accoglimento di entrambe le domande. Era stata, infatti, pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice, con condanna della stessa al pagamento - oltre che dell'importo pari alla differenza sul canone pattuito e non versato per il periodo sopra indicato (stante l'avvenuto riconoscimento della validità della clausola di integrazione del canone) - pure dei canoni successivamente dovuti, ovvero quelli decorrenti dal mese di dicembre 2012 fino all'effettivo rilascio. Per altro verso, tuttavia, in accoglimento della riconvenzionale dell'(...), l'adito giudicante aveva disposto la condanna della locatrice al pagamento della somma di Euro 105.000,00, oltre interessi, a titolo di indennità per miglioramenti della "res locata". Esperito gravame da entrambe le parti (sempre nella controversia giudiziaria che si è posta come antecedente di quella presente), il giudice di seconde cure disponeva la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza allora appellata, tanto che l'(...) cessava il pagamento dei canoni di locazione, da aprile a dicembre del 2015, donde l'iniziativa successivamente assunta dalla Parrocchia ai sensi dell'art. 658 cod. proc. civ. ed oggetto del presente giudizio.
Costituitasi l'(...) nel giudizio di convalida di sfratto, essa resisteva all'avversaria domanda, sul presupposto che le mensilità non corrisposte fossero "strumentali al rimborso quantomeno della messa in sicurezza dell'impianto" (che assumeva di aver compiuto per un costo di Euro
25.000,00), non senza previamente eccepire, sul piano processuale, l'esistenza di un "bis in idem". In ogni caso, tuttavia, l'intimata offriva, in pagamento, la somma di Euro 16.027,57 (comprensiva degli adeguamenti ISTAT, nonché dei mesi di gennaio e febbraio 2016), oltre gli interessi legali, e ciò a copertura dell'intera morosità dedotta in giudizio.
Denegata l'ordinanza provvisoria di rilascio e disposta la conversione del rito, l'adito Tribunale pronunciava la risoluzione del contratto di locazione e condannava l'(...) al rilascio del bene, nonché al pagamento dei canoni di locazione "scaduti ed a scadere", oltre accessori, spese e competenze di lite.
Esperito gravame dall'(...), il giudice di appello lo accoglieva solo in parte, come evidenziato in premessa.
La Corte salernitana, infatti, mentre confermava la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice (ritenuto di maggiore gravità rispetto a quello della locatrice, da essa eccepito a norma dell'art. 1460 cod. civ., avendo l'(...) lamentato la necessità dell'esecuzione di rilevanti lavori di ammodernamento della "res locata", per l'ammontare di Euro 105.000,00, necessari per l'utilizzo del bene, privo di agibilità ed inidoneo ad essere adibito a campo da calcio), escludeva, invece, la sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento dei "canoni scaduti ed a scadere fino al rilascio".
A tale esito, in particolare, il giudice di seconde cure preveniva sul rilievo che tale questione risultava "già sottoposta all'attenzione dell'autorità giudiziaria e decisa, sulla scorta di una statuizione passata in giudicato, con conseguente perenzione di qualsivoglia interesse alla pronuncia invocata". Invero, la Corte territoriale evidenziava di avere, nel frattempo, provveduto - con sentenza n. 196/17 - sui gravami esperiti, tanto dalla Parrocchia quanto dall'(...), in relazione al precedente giudizio ex art. 447-bis cod. proc. civ. pendente tra di esse, avendo accolto sia l'appello della conduttrice (e dunque riformando la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento della stessa, con condanna al rilascio del bene, avendo escluso il carattere della "gravità", ex art. 1455 cod. civ.), sia quello della locatrice, donde, in questo caso, il rigetto della domanda riconvenzionale dell'(...), concernente i miglioramenti asseritamente apportati alla "res locata". Esito, quest'ultimo, al quale la Corte salernitana era pervenuta sul rilievo non soltanto che l'indennità per miglioramenti può essere richiesta unicamente alla cessazione del rapporto di locazione, ma pure che la loro quantificazione in Euro 105.000,00 fosse rimasta sfornita di prova. Erano state, invece, confermate le statuizioni condannatorie a carico dell'(...), quanto al pagamento delle somme dovute a titolo di canone di locazione.
Orbene, proprio il passaggio in giudicato di tali statuizioni (non impugnate allora per cassazione, atteso che il ricorso esperito dall'(...) - e, peraltro, poi definito da questa Corte con statuizione di inammissibilità, giusta ordinanza n. 3373/20 - aveva riguardato esclusivamente il rigetto della domanda riconvenzionale relativa ai miglioramenti, ritenuta improponibile in costanza di rapporto di locazione), ha comportato l'accoglimento del gravame con cui, nel presente giudizio, (...) ha lamentato esserle stata comminata una rinnovata condanna al pagamento di quelle stesse somme.
Veniva, invece, confermata - dalla sentenza qui impugnata -la statuizione di risoluzione del contratto, essendo fondata su un inadempimento (relativo ai canoni di locazione dovuti per il periodo da aprile a dicembre 2015) "ulteriore e diverso" rispetto a quello su cui la medesima Corte territoriale si era già pronunciata, avendo tale precedente giudizio avuto ad oggetto il mancato pagamento della somma di Euro 400,00 mensili, quale differenza, non corrisposta, del canone di locazione, per il periodo da agosto 2011 a novembre 2012.
- Avverso la sentenza della Corte salernitana ha proposto ricorso per cassazione l'(...), sulla base - come detto - di due motivi.
- Il primo motivo lamenta il rigetto dell'eccezione di improcedibilità della domanda, per mancato esperimento della mediazione obbligatoria, denunciando erronea applicazione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (in specie, l'art. 5, comma, 1-bis).
Si censura la sentenza impugnata là dove ha escluso la fondatezza del motivo di gravame con il quale era stata eccepita l'improcedibilità della domanda della Parrocchia per omesso espletamento della procedura di mediazione obbligatoria. Esito al quale la Corte territoriale è pervenuta sul rilievo che "il procedimento di mediazione - come già evidenziato dal Giudice di primo grado - è stato effettivamente espletato, senza il raggiungimento di un accordo", e ciò nonostante le parti (diversamente da quanto adombrato dall'(...)) "avessero partecipato personalmente", secondo quanto "è possibile evincere dal verbale prodotto in giudizio". Inoltre, la sentenza impugnata ha pure escluso che tale procedimento sia solo consistito - come sempre sostenuto dall'allora appellante - "nella mera illustrazione dei caratteri dell'istituto, della sua funzione e delle sue modalità di svolgimento", visto che le parti, invitate "dal mediatore ad esprimersi sulla possibilità di iniziare il procedimento di mediazione", sarebbero entrate "nel merito della controversia", senza limitarsi ad affrontare esclusivamente "profili procedurali o formali".
Assume, per contro, la ricorrente che, nonostante "la formale proposizione dell'istanza di mediazione, il procedimento non è mai stato effettivamente avviato dalle parti". Difatti, in occasione dell'incontro preliminare, tenutosi in data 1 aprile 2016 innanzi al mediatore, "incontro prodromico all'avvio vero e proprio della mediazione", il legale rappresentante della parte attrice ebbe a dichiarare "che "non è possibile iniziare la procedura di mediazione"". Per parte propria, invece, essa (...), non soltanto ebbe espressamente a manifestare "la propria disponibilità all'instaurarsi della mediazione, ma ha anche formulato specifica proposta (agli atti) volta alla estinzione del contenzioso". Di conseguenza, a fronte degli "incontestabili dati di fatto che precedono", la ricorrente "evidenzia come non sia condivisibile la ricostruzione del Giudicante allorché ha ritenuto effettuato il procedimento di mediazione".
Si richiama, infatti, l'(...) a quell'orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui "l'ordine di procedere alla mediazione si potrà considerare correttamente eseguito", e quindi "la condizione di procedibilità effettivamente verificata, soltanto se: a) la mediazione si svolge con la presenza personale delle parti; b) si sia svolta la mediazione vera e propria", ovvero "andando oltre il
formale incontro preliminare ove vengono semplicemente illustrati i caratteri dell'istituto in parola", sicché "il primo incontro non può fermarsi alla sola fase informativa, ma deve andare oltre e entrare nel merito della controversia, cercando effettivamente una conciliazione".
- Il secondo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - la "erroneità della pronuncia circa l'entità e la gravità dell'inadempimento della scuola calcio", lamentando violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all'art. 112 cod. proc. civ. e agli artt. 1455, 1460 e 1375 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui - nel condividere la valutazione del primo giudice - ha ritenuto di non scarsa importanza l'inadempimento perpetrato dall'(...), trascurando di considerare, anche sotto il profilo della sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., che la conduttrice "aveva eseguito, nell'ambito di un rapporto di durata trentennale, rilevanti lavori di ammodernamento, per un ammontare di Euro 105.000,00, necessari per l'utilizzo del bene, privo di agibilità ed inidoneo ad essere adibito a campo da calcio.
Ai fini del corretto inquadramento della censura, la ricorrente evidenzia una serie di circostanze di fatto, a partire da quella secondo cui "il rapporto tra le parti è, ormai, quasi trentennale", mentre "soltanto negli ultimi anni sono sorti contrasti collegati, in via essenziale, ad alcuni lavori di ammodernamento necessari, anzi indispensabili, all'utilizzo del bene". Difatti, nel corso dell'esecuzione dell'ultimo contratto corrente tra le parti (quello del 1 agosto 2007), l'(...) "fu costretta a eseguire un ampio intervento di ristrutturazione ed ammodernamento del bene locato al fine di garantire la sicurezza degli utenti", con "lavori accertati per Euro 105.000,00", venendo a conoscenza, in quel frangente, "di una circostanza gravissima". Ovvero, che l'immobile, "locato quale "campo sportivo", insisteva su "ente urbano", privo di propria entità catastale e urbanistica e, conseguentemente, di qualsivoglia regolarità in ordine alla messa in sicurezza", risultando, in sostanza, privo di agibilità. Del resto, la stessa Corte salernitana, con la già citata sentenza n. 196/07 resa all'esito del primo giudizio tra le stesse parti (pronuncia, sul punto, passata in giudicato), "ha riconosciuto come la condotta della conduttrice non integrasse gli estremi del grave inadempimento di cui all'art. 1455 cod. civ., confermando la piena vigenza del contratto". Né irrilevante sarebbe la circostanza per cui, "a far data dal gennaio 2016 ad oggi" (e con la sola eccezione dei nove mesi da aprile a dicembre 2015), "la conduttrice ha sempre regolarmente corrisposto il canone di locazione pattuito, a riprova dell'assoluta buona fede della medesima", offrendo persino di sanare "banco iudicis" la propria morosità.
In presenza, pertanto, di tale "sequenza di circostanze", secondo la ricorrente, non sarebbe "condivisibile la ricostruzione proposta dalla Corte d'Appello di Salerno" allorché ha ritenuto di configurare, nella presente fattispecie, "il grave inadempimento di cui all'art. 1455 cod. civ. e la conseguente risoluzione contrattuale". Essa, infatti, "pur identificando correttamente i principi, elaborati in sede giurisprudenziale, che governano la materia", si sarebbe limitata "a registrare il mancato pagamento del canone da parte della Associazione Sportiva ed a qualificarlo apoditticamente quale grave inadempimento ai sensi dell'art. 1455 cod. civ.".
Per contro, nella giurisprudenza di questa Corte, "la portata risolutiva della morosità del
conduttore discende", sottolinea la ricorrente, dipende "dall'accertamento della sua idoneità in concreto a ledere in modo rilevante l'interesse contrattuale del locatore, a sconvolgere l'intera economia del rapporto ed a determinare un notevole ostacolo alla prosecuzione del medesimo". Nel caso di specie, si sarebbe dovuto rilevare "che il bene locato, nel corso di rapporto, si è rivelato assolutamente inidoneo all'esercizio dell'attività per la quale era stato esplicitamente concesso in locazione dalla Parrocchia, cioè l'utilizzo quale "campo sportivo" per "uso scuola calcio"", mancando, a tutt'oggi, "il certificato di agibilità". Conseguentemente, sulla base di siffatti dati, già "il Tribunale di Salerno avrebbe dovuto evidentemente accogliere l'argomento proposto inerente l'exceptio inadimpleti contractus e non ignorarlo completamente, in sede di motivazione, senza spendere rispetto allo stesso neppure una riga una". Per parte propria, "la Corte d'Appello avrebbe dovuto ex necesse valutare i reciproci inadempimenti in via comparativa e da ciò far discendere la valutazione della prevalenza di un inadempimento rispetto a quello contestato alla controparte", valutazione, nella specie, "del tutto omessa". In conclusione, nella fattispecie concreta in esame, "la mancata corresponsione del canone di locazione da parte dell'Associazione Sportiva" (oltretutto, "per appena pochi mesi"), avrebbe dovuto "essere inquadrata nella più ampia dinamica del rapporto negoziale instauratosi tra le parti", nonché valutata, alla stregua del principio della buona fede nell'esecuzione del contratto, "alla luce dell'assenza di qualità essenziali nel bene concesso in
locazione, dei lavori eseguiti a cura e spese del conduttore, della conseguente creditoria da questi vantata nei confronti del locatore ed, ancora, della condotta di piena correttezza tenuta sempre dall'Associazione Sportiva nel pagamento del canone".
- Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, la Parrocchia, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
- La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis-1 cod. proc. civ.
- La controricorrente ha presentato memoria.
- Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Il ricorso va rigettato.
- Il primo motivo di ricorso non è fondato.
8.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dalla constatazione che la Corte salernitana - nel decidere in merito al motivo di gravame secondo cui il procedimento di mediazione non sarebbe stato "concretamente espletato", essendo "consistito, invece, nella mera illustrazione dei caratteri dell'istituto, della sua funzione e delle sue modalità di svolgimento" - ha osservato che, invitate dal mediatore "ad esprimersi sulla possibilità di iniziare il procedimento di mediazione, le parti, entrando nel merito della controversia e non certo soffermandosi esclusivamente su profili procedurali o formali, inerenti alle modalità di svolgimento o alla funzione del procedimento di mediazione, hanno illustrato le rispettive posizioni, in relazione alle loro concrete ragioni di doglianza ed alle rispettive pretese". In particolare, al cospetto della manifestata disponibilità della conduttrice "a sanare la morosità", la locatrice ebbe, invece, a fare "presente di non avere intenzione di proseguire il rapporto di locazione, considerato che "la disciplina non prevede un termine di grazia e, quindi, la possibilità di purgare la mora" e che "le condizioni", illustrate nella "proposta di controparte", non erano confacenti "all'interesse di parte istante"". Sicché - prosegue la sentenza oggi impugnata - "il mediatore, preso atto della volontà delle parti e dell'impossibilità di addivenire ad un accordo, ha dichiarato "chiuso" il procedimento di mediazione".
Tanto basta per considerare espletato il procedimento, e dunque rispettata la condizione di procedibilità di cui all'art. 5, comma, 1-bis, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, giacché essa può ritenersi, realizzata "qualora una o entrambe le parti comunichino al termine del primo incontro davanti al mediatore la propria indisponibilità a procedere oltre" (Cass. Sez. 3, sent. 27 marzo 2019, n. 8473, Rv. 653270-01).
Chiamata, difatti, a stabilire quando il tentativo di mediazione obbligatoria possa dirsi utilmente concluso (ovvero, se sia sufficiente "comunicare al mediatore di non aver nessuna intenzione di procedere oltre e di provare a trovare una soluzione", oppure se sia "necessario che la mediazione sia "effettiva"", e cioè "che le parti provino quanto meno a discutere per trovare una soluzione, per poi poter dare atto a verbale della impossibilità di addivenire ad una soluzione positiva"), questa Corte ha osservato che sia l'argomento letterale, ovvero il testo dell'art. 8 del D.Lgs. n. 28 del 2010, che l'argomento sistematico - e cioè "la necessità di interpretare la presente ipotesi di
giurisdizione condizionata in modo non estensivo, ovvero in modo da non rendere
eccessivamente complesso o dilazionato l'accesso alla tutela giurisdizionale - depongono nel senso che l'onere della parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l'avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all'esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 8473 del 2019, cit.).
Alla stregua di tali considerazioni, dunque, il primo motivo risulta non fondato.
- Il secondo motivo è inammissibile, e comunque non fondato.
- In primo luogo, deve rilevarsi che, sebbene il motivo evochi, in rubrica, la violazione anche dell'art. 112 cod. proc. civ., il suo sviluppo non chiarisce in cosa essa si sarebbe sostanziata, ciò che già mina, in modo irredimibile, l'ammissibilità della censura. D'altra parte, tale esito non varierebbe qualora se ne individuasse l'oggetto nelle numerose enunciazioni di circostanze fattuali, non indicate, peraltro, nel rispetto dell'art. 360, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., ovvero con "puntuale indicazione" (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 18 marzo 2022, n. 8950, Rv. 664409-01) del documento o dell'atto idonee ad evidenziarle; esse, infatti, non concernono fatti integranti eccezioni, sì che sarebbe impossibile ricondurle alla norma dell'art. 112 cod. proc. civ.
Più in generale, poi, il motivo, in quanto basato sull'evocazione delle dette circostanze, si risolve in una sollecitazione alla rivalutazione della "quaestio facti" e solo all'esito postula la violazione e/o falsa applicazione delle norme degli artt. 1455 e 1460 e 1375 cod. civ.
- In ogni caso, il motivo - benché non sia privo di elementi di "suggestione", giacché potrebbe apparire paradossale che la Corte salernitana, con la sentenza impugnata, abbia considerato di "non scarsa importanza" un inadempimento che, per durata e per importo delle somme non corrisposte, si è presentato di minore entità rispetto a quello oggetto della sua precedente pronuncia (che aveva escluso la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento dell'azione di risoluzione) - risulta pure non fondato.
La ricorrente, invero, si duole del fatto che il giudice di appello "avrebbe dovuto evidentemente accogliere l'argomento proposto inerente l'exceptio inadimpleti contractus e non ignorarlo completamente, in sede di motivazione" (cfr. pag. 31 del ricorso), esito al quale sarebbe dovuto pervenire dando rilievo - oltre che alla durata trentennale del rapporto - alla circostanza che essa conduttrice "fu costretta a eseguire un ampio intervento di ristrutturazione ed ammodernamento del bene locato al fine di garantire la sicurezza degli utenti", con "lavori accertati per Euro 105.000,00", venendo per giunta a conoscenza, in quel frangente, "di una circostanza gravissima", vale a dire che l'immobile era privo di "certificato di agibilità".
Orbene, sul punto, occorre muovere dalla constatazione che "nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche deve procedersi ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all'oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, con la conseguenza che, qualora l'inadempimento di una delle parti sia valutato come prevalente deve considerarsi legittimo il rifiuto dell'altra di adempiere alla propria obbligazione e alla risoluzione del contratto deve seguire l'esame dell'eventuale richiesta di risarcimento del danno della parte non inadempiente" (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 22 maggio 2019, n. 13827, Rv. 654177-01), fermo, però, restando che tale accertamento, "fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato" (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 2, sent. 30 maggio 2017, n. 13627, Rv. 644328-01; Cass. Sez. 3, sent. 1 giugno 2004, n. 10477, Rv. 573294-01).
A tale dovere di congrua motivazione non si è sottratta la Corte territoriale.
Essa, infatti, non si è limitata ad affermare che "l'omesso versamento del canone di locazione - e non solo dell'aumento dibattuto nel precedente giudizio intercorso tra le parti - ha costituito un inadempimento di non scarsa importanza, perché ha inciso, conculcandolo irreparabilmente per un periodo di tempo non breve, l'interesse principale della Parrocchia di S, consistente nel poter ottenere, quale corrispettivo del concesso godimento del bene, il corrispettivo pattuito", ma ha preso posizione, specificamente, in merito a ciascuno dei punti sui quali l'(...) aveva fondato la propria eccezione ex art. 1460 cod. civ. (e che sono riproposti nella presente sede).
Quanto, infatti, all'invocata lunga durata del rapporto contrattuale, la sentenza impugnata osserva che essa "non autorizza le parti a violare le pattuizioni su cui si fonda", giacché, anzi, "dovrebbe costituire una garanzia dell'adempimento delle obbligazioni assunte, diversamente da quanto è avvenuto nel caso di specie", nel quale la conduttrice aveva già antecedentemente omesso di corrispondere parte del canone pattuito, "ponendo in essere i presupposti per l'instaurazione del precedente giudizio".
In merito, invece, all'argomento secondo cui - sempre nel precedente giudizio intercorso tra le stesse parti - sarebbe stata accertata l'esecuzione di lavori sulla "res locata" per Euro 105.000,00, la Corte salernitana ne ha negato la rilevanza, ancora una volta, con congrua motivazione, giacché ha, innanzitutto, smentito esservi stato alcun accertamento in tal senso. La sentenza oggi impugnata, infatti, ha rilevato trattarsi "di una statuizione non passata in giudicato, tanto è vero che è stata oggetto di appello incidentale" da parte della locatrice, soggiungendo che esso, poi, "è stato anche accolto", precisando, comunque, che tale circostanza "non avrebbe potuto permettere alla Associazione Sportiva Dilettantistica Scuola Calcio (...), avendo ad oggetto una mera pretesa creditoria, non ancora accertata giudizialmente in via definitiva, di omettere il pagamento dell'intero canone", e ciò in ragione tanto della "impossibilità di invocare l'indennità per miglioramenti prima della cessazione del rapporto e della consegna della res locata", quanto della "insussistenza di prova della fondatezza della pretesa azionata, sia nell'an, che nel quantum".
In ordine, invece, all'argomento per cui, in difetto di certificato di agibilità, il bene locato doveva ritenersi privo dei requisiti per essere adibito a campo di calcio, la sentenza impugnata si è richiamata al principio - ancora di recente enunciato da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 22 maggio 2023, n. 14067, Rv. 667822-01) - secondo cui "grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività che intenda esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative, per cui, ove tali autorizzazioni non siano rilasciate, non è configurabile alcuna responsabilità a carico del locatore, nemmeno quando dipendano da caratteristiche proprie della res locata in quanto la destinazione particolare dell'immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica ed inequivoca pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore".
Infine, quanto alla supposta non conformità a buona fede del comportamento della parte locatrice, la sentenza impugnata rileva come "i principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto" siano "stati violati, a ben vedere", proprio dall'(...), giacché essa, "in seguito all'ordinanza con la quale era stata sospesa l'efficacia esecutiva della sentenza emessa dal Tribunale di Salerno nel precedente giudizio, aveva omesso tout court di pagare il canone, "eccependo, per un verso, in compensazione la ben più importante somma riconosciuta dal Tribunale di Salerno e, per altro verso, evidenziando come (...) il bene locato fosse privo dei requisiti per essere adibito a campo da calcio"", circostanze, ambedue, invece non idonee - per le ragioni già illustrate - a giustificare la sospensione del pagamento del canone.
- Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo, in favore del legale della controricorrente, dichiaratosi antistatario.
- A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all'amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando l'Associazione Sportiva Dilettantistica Scuola Calcio (...) a rifondere, alla Parrocchia di S, o meglio, per essa, all'Avvocato Ro.Ci., dichiaratosi antistatario, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.127,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all'esito dell'adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 25 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria l'8 luglio 2024.