Commento:
La mediazione è uno strumento introdotto per consentire alle parti di evitare le lungaggini e le spese che comporta un giudizio dinanzi al Tribunale. Per tale ragione l’ingiustificata partecipazione di una delle parti alla mediazione comporta l’irrogazione della sanzione pecuniaria prevista dal’art. 8 comma 4 del d.lgs. 28/2012. Nell’applicazione di tale sanzione al giudice non è consentito nessuna ambito di discrezionalità né sull’an né sul quantum della sanzione.
Il giudice non può effettuare una valutazione discrezionale sulla sanzione prevista dall’ art. 8, comma 4 bis d. lgs. 28/2010Invia ad un amico |
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Tribunale di Verona, sentenza del 2/05/2017A cura del Mediatore Avv. Piero Belloni da Padova.Letto 1779 dal 17/02/2018 |
Testo integrale:
Tribunale Ordinario di Verona
Terza Sezione Civile Il Tribunale, in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari
ha pronunciato la seguente
sentenza
nella causa civile di I Grado iscritta al N. /2015 R.G. promossa da:
S.R.L. rappresentata e difesa dall’avv. C C
Attrice
contro
Banca
Cconvenuta
Conclusioni
parte attrice Anche in via istruttoria come da memoria ex art. 183 Vi comma n. 2. c.p.c. e come da verbale di udienza del 21 gennaio 2016
Parte convenuta: Come da comparsa di costituzione e risposta.
Motivi della decisione
s.r.l. ha convenuto in giudizio Banca per sentirla condannare alla restituzione in proprio favore delle somme addebitatale nel corso del rapporto di conto corrente acceso in data 7 giugno 2007 a titolo di interessi ultralegali, anatocistici, usurari nonché di commissione di massimo scoperto e spese. A sostegno di tale domanda l’attrice ha dedotto che il contratto suddetto era stato concluso senza osservare il requisito della forma scritta e che in ogni caso la commissione di massimo scoperto applicata era nulla per difetto di causa e che le erano stati applicati interessi debitori superiori al tasso soglia. La srl ha anche svolto domanda di condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti per effetto delle predette condotte. La convenuta si è costituita in giudizio e in via preliminare ha eccepito l’inammissibilità della domande di controparte atteso che essa, con scrittura privata del 9 ottobre 2013, aveva riconosciuto di essere debitrice di Banca in relazione al succitato rapporto della somma di euro 134.751,04 e aveva rinunciato espressamente all’esercizio di qualsiasi eccezione o contestazione. Con riguardo al merito la Banca ha resistito alla domanda avversaria con puntuali deduzioni sia in punto di fatto che in punto di diritto. Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti deve innanzitutto rilevarsi l’inammissibilità della domanda di condanna avanzata dall’attrice alla luce della circostanza incontestata che il rapporto di conto corrente per cui è causa è ancora in essere. Sul punto occorre rammentare che la domanda di ripetizione di indebito del correntista nei confronti della banca è concepibile solo una volta che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale. (cfr. ex plurimis Tribunale di Catanzaro, 5 aprile 2016; Tribunale di Agrigento 14 marzo 2016; Corte d’Appello di Torino, Sez. I, 15 febbraio 2015, n. 214; Trib. Alessandria 4 maggio 2015; Corte d’Appello di Torino, 12 dicembre 2014). A rapporto pendente invece l’annotazione in conto di una posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito di quest’ultimo, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria in favore della banca. La conseguenza è che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa (allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli). Resta quindi da valutare la domanda di accertamento dell’illegittimità degli addebiti. L’esame di essa è però precluso dalla circostanza che l’attrice il 9 ottobre 2013 ha sottoscritto un piano di rientro contenente il riconoscimento di debito e la rinuncia menzionate dalla convenuta (cfr. doc. 9 di parte convenuta) e qualificabile a tutti gli effetti come transazione. Sul punto parte attrice ha sostenuto che tale atto è nullo perché avente ad oggetto un titolo nullo ex art. 1973 c.c. Nella fattispecie la nullità investirebbe, secondo l’attrice, i contratti “a monte”, vale a dire il contratto di conto corrente viziato, a suo dire, perché stipulato senza osservare il requisito della forma scritta e perché contenente la pattuizione di condizioni usurarie. Orbene, la doglianza relativa alla inosservanza del requisito della forma scritta ad substantiam è però drasticamente smentita dalla copia del contratto di conto corrente che è stata prodotta in atti (doc. 3 di parte convenuta) atteso che essa reca in calce la sottoscrizione del funzionario di banca. L’attrice ha dedotto che il contratto non è stato sottoscritto in tutte le pagine dal proprio legale rappresentante e dalla convenuta ma il rilievo è irrilevante in difetto della contestazione della corrispondenza delle previsioni contenute nelle pagine non sottoscritte a quelle effettivamente pattuite. Parimenti irrilevante, oltre che tardiva, è poi la doglianza che l’attrice ha svolto solo in comparsa conclusionale circa l’illeggibilità della sigla apposta sulla prima pagina del contratto di affidamento del 30 maggio 2008 e su quelli successivi, atteso che essi non sono stati oggetto di censura alcuna da pare della srl. Peraltro tali contratti recano tutti in calce la apposizione di una firma per autentica della sottoscrizione della srl di un funzionario di banca. Per quanto attiene poi all’assunto relativo alla pattuizione di interessi usurari esso è innanzitutto contraddittorio rispetto a quello in punto di difetto di forma scritta e non condivisibile sotto il profilo metodologico atteso che ad avviso di questo giudice è perfettamente legittima, anche per il periodo antecedente il 1.1.2010, la metodica seguita da Banca d’Italia fatta oggetto di recepimento nei vari D.M. destinati alla determinazione del c.d. tasso-soglia, e ciò alla luce del chiaro disposto dell’art.2 bis della L. 2/2009. In ogni caso il rilievo non osta al riconoscimento della piena validità anche sul punto dell’accordo transattivo dovendosi escludere il carattere di essenzialità delle clausole afferenti le condizioni regolatrici degli interessi, secondo il puntuale e condiviso insegnamento di Cass. 31.5.2012 n. 8776 secondo il quale: “La nullità della transazione su titolo nullo ex art. 1972 c.c. non consegue alla nullità di singole clausole del contratto base, se di esse non risulti, ai sensi dell'art. 1419 c.c., l'essenzialità rispetto al contratto stesso. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, dichiarate nulle le clausole di commissione massimo scoperto, rinvio agli usi su piazza e anatocismo inerenti ad un contratto di conto corrente bancario, aveva esteso la declaratoria di nullità alla transazione intervenuta sul medesimo contratto, omettendo di verificare se, nell'economia di quest'ultimo, le clausole nulle fossero essenziali) )”; Venendo alla regolamentazione delle spese di lite esse vanno poste a carico dell’attrice in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base del d.m. 55/2014. In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva può essere determinato assumendo a riferimento i corrispondenti valori medi di liquidazione previsti dal succitato regolamento mentre quello per la fase istruttoria e per la fase decisionale va quantificato in una somma pari ai corrispondenti valori medi di liquidazione, ridotti del 50 %, alla luce della considerazione che la prima è consistita nel solo deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c.. e nella partecipazione ad una udienza mentre nella fase decisionale le parti hanno ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza. Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso alla convenuta spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata. La convenuta va però condannata, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis d. lgs. 28/2010, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato, dal momento che non ha partecipato al procedimento di mediazione svoltosi ante causam, come risulta dal relativo verbale che è stato prodotto dall’attrice, e di tale sua scelta non ha fornito alcuna giustificazione. Sul punto giova evidenziare che la sanzione pecuniaria prevista da tale norma va irrogata dal giudice, senza che gli sia consentito nessun ambito di discrezionalità né sull’an né sul quantum dell’applicazione, a qualsiasi delle parti non abbia partecipato alla procedura stragiudiziale senza giustificato motivo, compresa quella vittoriosa nel conseguente giudizio. Ciò è chiaramente desumibile sia dal tenore letterale della previsione che dalla sua funzione che è quella di indurre le parti a partecipare al procedimento di mediazione e quindi a servirsi di uno strumento che può evitare il giudizio.
P.Q.M.
Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, dichiara inammissibile la domanda di condanna avanzata dall’attrice, rigetta le restanti domande attoree e per l’effetto condanna l’attrice a rifondere alla convenuta le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 8.705,00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa. Visto l’art. 8, comma 4 bis, d. lgs. 28/2010 condanna la convenuta al pagamento all’entrata del bilancio dello Stato della somma di euro 518,00.
Verona 2/05/2017 il Giudice Dott. Massimo Vaccari