Testo integrale:
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE ORDINANZA
sul ricorso 6165-2022 proposto da: T, quale difensore di se stesso; - ricorrente - contro MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, - controricorrente -
avverso l’ordinanza n. 3672/2021 del TRIBUNALE DI CATANZARO, depositata il 23/07/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie del ricorrente;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. L’Avv. V. T. proponeva opposizione averso il decreto con il quale il Tribunale di Catanzaro aveva rigettato la richiesta di liquidazione dei compensi maturati per l’assistenza prestata in una procedura di negoziazione assistita in favore di O E, in materia di separazione tra coniugi, ancorché il proprio assistito avesse i requisiti per fruire del patrocinio a spese dello Stato. Il Tribunale di Catanzaro con ordinanza n. 1672 del 23 luglio 2021 ha rigettato l’opposizione, ritenendo che il beneficio richiesto non poteva essere accordato per l’attività svolta, trattandosi di attività stragiudiziale, per la quale l’estensione del beneficio era ancora oggetto solo di un progetto di riforma legislativo. Avverso tale ordinanza l’Avv. V.T. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memorie.
L’intimato ha resistito con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., in riferimento alle ragioni con le quali era stata opposta la decisione del Presidente del Tribunale di denegare il diritto al compenso del ricorrente. Si assume che il Tribunale in sede di opposizione non avrebbe esaminato il corrispondente motivo con il quale si lamentava l’erronea qualificazione dell’attività svolta dal professionista nell’ambito della procedura di negoziazione assistita avviata tra i coniugi O e L, e definita con esito positivo.
Era stato sottolineato come l’art. 6 della legge n. 162/2014 di conversione del d.l. n. 132/2014 attribuisca all’accordo raggiunto in sede di negoziazione i medesimi effetti dei provvedimenti giudiziali di definizione della crisi coniugale, dovendosi quindi reputare che il procedimento de quo abbia natura di condizione di procedibilità. Inoltre, il Tribunale avrebbe errato nel reputare che la richiesta fosse inammissibile sol perché era ancora in fase di approvazione un disegno di legge volto ad estendere il patrocinio a spese dello Stato anche alla definizione della convenzione di negoziazione assistita in materia familiare. Con il secondo motivo si reitera anche l’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 74 e 75, co. 1, del DPR n. 115/2002, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di negoziazione assistita di cui all’art. 6 del d.l. n. 132/2014, conv. nella legge n. 162/2014, quando nel corso degli stessi è raggiunto l’accordo, nonché dell’art. 83, co. 2, del medesimo DPR, nella parte in cui non prevede che, in tale ipotesi, debba provvedere l’autorità giudiziaria a liquidare il compenso al difensore della parte in possesso dei requisiti per l’ammissione al beneficio, stante la violazione degli artt. 3, co. 2, 24, co. 3, e 36 Cost.
Si evidenzia che il legislatore con la legge delega n. 206/2021 ha dettato i criteri per l’estensione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato anche alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita. Il tema è poi stato oggetto di disamina da parte della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 10/2002 ha dichiarato illegittima l’esclusione del beneficio per le ipotesi di mediazione obbligatoria conclusasi con esito positivo. Si assume, quindi, che escludere il beneficio anche per il caso di negoziazione assistita di cui all’art. 6 della citata legge, sarebbe in contrasto con i principi costituzionali richiamati, alla luce delle argomentazioni spese dalla Consulta nella sentenza n. 10/2022.
3. Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rigettato. In primo luogo, si palesa inammissibile la deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 co. 1 c.p.c., quanto alla circostanza che la decisione gravata non avrebbe preso in esame le ragioni poste a sostegno del motivo di opposizione. Infatti, ove il motivo intenda denunciare il vizio di omessa pronuncia, la sua formulazione appare in contrasto con il principio affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all'art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013). La formulazione del mezzo di gravame non si conforma alla prescrizione dettata dalla giurisprudenza di questa Corte, e ne determina quindi l’inammissibilità.
4. Ma in ogni caso non può non rilevarsi che, ancorché in maniera sintetica, ma comunque nel rispetto del cd. minimo costituzionale della motivazione, il provvedimento gravato ha dato risposta, sebbene non satisfattiva delle aspettative del ricorrente, alle doglianze mosse con i motivi di opposizione, reputando che fosse preclusiva della richiesta di liquidazione dei compensi la considerazione che l’attività svolta era avvenuta al di fuori di un processo, non potendo quindi trovare applicazione le previsioni in tema di patrocinio a spese dello Stato di cui al DPR n. 115/2002, in assenza peraltro di un intervento innovativo del legislatore, in assenza del quale non poteva riconoscersi alcun compenso all’opponente. Reputa la Corte che trattasi di conclusione che si impone alla luce del diritto positivo, e che la stessa trovi conferma, come si dirà, anche alla luce dello ius superveniens, sebbene non applicabile alla fattispecie ratione temporis, senza che possano avere seguito i dubbi di costituzionalità della norma quali prospettati dalla difesa del ricorrente.
Questi pretende il pagamento di compensi a carico dello Stato per l’attività svolta in favore del proprio cliente, O E, in una procedura di negoziazione assistita ex art. 6 del d.l. n. 132/2014, conv. in legge n. 162/2014. Il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 conv., convertito con modificazioni, in legge 10 novembre 2014, n. 162, recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile”, ha introdotto nel nostro ordinamento
“procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati” (c.d. negoziazione assistita), istituto che per alcuni aspetti della disciplina mostra assonanze con quella dettata pochi anni prima in materia mediazione civile (mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali; d.lgs. 28/2010).
Trattasi invero di istituti aventi la medesima ratio di deflazionare il carico di lavoro gravante sugli uffici giudiziari. L'opinione prevalente ritiene di dover inquadrare la negoziazione assistita all’interno della categoria degli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione (alternative dispute resolution - ADR); strumenti, in estrema sintesi, volti a ricercare forme di composizione di una lite esternamente al processo. Infatti, a mente dell’art. 2 d.l. 132/2014 la finalità della negoziazione assistita è “risolvere in via amichevole” una controversia, ma con la peculiarità che è stato approntato uno strumento preventivo volto ad evitare il successivo accesso alla giustizia. La presenza di un accordo stragiudiziale è ciò che essenzialmente differenzia la negoziazione assistita dalla mediazione, e ciò anche in ragione del fatto che in quest’ultima le parti si rivolgono ad un mediatore imparziale per addivenire ad una definizione delle contestazioni esistenti tra le parti, mentre nella negoziazione assistita gioca un ruolo fondamentale proprio l’avvocato cui le parti si affidano per trovare una soluzione condivisa. La negoziazione prende quindi le mosse da un atto scritto, la “convenzione di negoziazione assistita” (art. 2, d.l. 132/2014, conv. con mod. in l. 162/2014), consistente nell’accordo, concluso “con l’assistenza di uno o più avvocati”, mediante il quale le parti convengono di cooperare per risolvere in via amichevole una loro lite tramite, ancora, l’“assistenza di avvocati iscritti all’albo”. Con tale accordo le parti convengono di cooperare per risolvere in via amichevole una controversia vertente su diritti disponibili tramite l’assistenza degli avvocati, cui segue la successiva attività di negoziazione vera e propria, la quale può portare al raggiungimento di un accordo che, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (cfr. art. 5). Il legislatore ha però contemplato tre ipotesi di negoziazione assistita:
procedura facoltativa (o volontaria), quella obbligatoria (prevista dall’art. 3, d.l. 132/2014, conv. comod. in l. 162/2014, caratterizzata dalla sanzione dell’improcedibilità della domanda giudiziale nel caso di mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita, nei casi ivi contemplati), nonché quella specifica dettata in materia di famiglia (ma anch’essa di natura facoltativa o volontaria, disciplinata dall’art. 6). Ciò che accomuna però le varie ipotesi è che con la convenzione di negoziazione assistita ”le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo”.
La negoziazione assistita ha carattere obbligatorio ex art. 3, nella formulazione applicabile alla vicenda in esame, allorché si intenda esercitare in giudizio un’azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti (si veda Corte Costituzionale sent. 7.7.2016, n. 162, che ha dichiarato, con riferimento agli artt. 145, 148 e 149 d.lgs. 209/2005, Codice delle assicurazioni private, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma. 1, d.l. 132/2014 cit. in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 Cost., precisando che: la tutela garantita dall’art. 24 Cost. – la quale non comporta l’assoluta immediatezza dell’esperibilità del diritto di azione – non è compromessa dal meccanismo della negoziazione assistita, attesa la sua complementarità rispetto al previo procedimento di messa in mora dell’assicuratore), ovvero nel caso in cui si intenda proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 €, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria (di cui all’art. 5, comma 1bis, d.lgs. 28/2010). L’art. 3 dispone, poi, che il comma 1 non si applica alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori. La c.d. negoziazione assistita obbligatoria, inoltre, non trova applicazione: nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione; nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile; nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; nei procedimenti in camera di consiglio; nell’azione civile esercitata nel processo penale. Nella disciplina di cui all’art. 3 l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il che pone un’ipotesi di giurisdizione condizionata. Con specifico riferimento ai costi della procedura, ed in relazione alle ipotesi in cui la stessa sia obbligatoria, l’art. 3, sempre nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede che all’avvocato non è dovuto il compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 76, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), norma questa che secondo l’interpretazione prevalente sembra precludere il diritto dell’avvocato a richiedere il compenso alla parte in possesso dei requisiti per beneficiare, ma senza al contempo prevedere un sistema di effettiva liquidazione dei compensi maturati a carico dello Stato. Tale lacuna è stata però solo di recente colmata dal legislatore che con il D. Lgs. n. 149 del 2022 ha introdotto gli art. 11 bis e ss. nella legge n. 162/2014, assicurando quindi la concreta istituzione del patrocinio a spese dello Stato, ma per le sole ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria di cui all’art. 3.
5. Nel caso in esame però l’attività del ricorrente è stata prestata in una procedura di negoziazione assistita c.d. familiare di cui all’art. 6, per la quale non si dubita, anche in ragione dell’utilizzo del verbo “può” da parte del legislatore nello stesso art. 6, che abbia carattere facoltativo, essendo quindi la sua percorribilità rimessa alla libera scelta dei coniugi. Il carattere facoltativo della negoziazione assistita in materia familiare costituisce quindi il principale argomento per negare de iure condito il diritto al compenso del professionista, attesa la limitazione che il DPR n. 115 del 2002 pone per l’attività stragiudiziale svolta nell’interesse della parte ammessa (trovando tale limite conferma anche nella recente novella del 2022 per le negoziazioni assistite prive del carattere della obbligatorietà), e riceve conforto anche dalle motivazioni della Consulta di cui alla recente sentenza n. 10 del 2022, cui pur fa richiamo la difesa del ricorrente. Infatti, la Corte Costituzionale con la sentenza ora indicata ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia. In premessa, è stato, infatti, evidenziato che l'art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia assicura ai non abbienti il beneficio in discussione facendo esclusivo riferimento al "processo" e che nella medesima direzione, l'art. 75, comma 1, del citato testo unico delimita poi l'ambito di validità dell'ammissione al patrocinio a ogni grado e fase "del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse" al processo stesso, di cui, pertanto, presuppone l'introduzione. Ancora, l’art. 83, comma 2, nel suo primo periodo attribuisce la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione del compenso all'autorità giudiziaria "che ha proceduto", in tal modo ribadendo, senza possibilità di equivoco, l'esigenza dell'instaurazione di un giudizio di cui l'autorità giudiziaria sia stata, per l'appunto, investita. Ciò impone di ritenere che
patrocinio a spese dello Stato è quindi contemplato dalle norme censurate in chiave eminentemente processuale, come confermato dal fatto che lo stesso legislatore, con la legge delega, che ha di recente ricevuto attuazione, ha avvertito l'esigenza di introdurre specifiche disposizioni volte espressamente ad estenderlo, a prescindere dal loro esito, anche alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita. La sentenza, inoltre, dopo aver escluso che potesse trarsi spunto a favore del riconoscimento del beneficio anche per le prestazioni stragiudiziali dal precedente di questa Corte (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529) richiamato anche dalla difesa dell’odierno ricorrente, ha valorizzato proprio il carattere dell’obbligatorietà della mediazione al fine di pervenire alla declaratoria di incostituzionalità, sottolineandosi come fosse evidente il radicale vulnus arrecato dalle norme censurate al diritto di difendersi dei non abbienti in un procedimento che, per un verso, è imposto ex lege in specifiche materie e che, per l'altro, è strumentale al giudizio al punto
condizionare l'esercizio del diritto di azione e il relativo esito.
La Corte, invero, dopo aver ricordato la finalità della mediazione civile obbligatoria, introdotta dall’art. 5, comma 1- bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 con un evidente intento deflattivo del contenzioso, essendo strutturata quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali, ha sottolineato come il suo esperimento condizioni la procedibilità della domanda, prima dell’instaurazione di una lite giudiziaria
condizionando di conseguenza in determinate materie l’esercizio del diritto di azione. La manca
previsione del diritto al compenso per il patrocinio prestato in tale procedura, allorché la stessa si concluda con esito positivo, contrasta con gli artt. 3 Cost., primo e secondo comma, in relazione, rispettivamente, al principio di ragionevolezza e a quello di eguaglianza sostanziale, e 24 Cost., terzo comma, Cost.
E’, infatti, del tutto distonica e priva di alcuna ragionevole giustificazione l’esclusione del patrocinio a spese dello Stato quando la medesima mediazione si sia conclusa con successo e non sia stata in concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda, e ciò perché in tal modo il
patrocinio risulta contraddittoriamente escluso proprio nei casi in cui il procedimento de quo
ha raggiunto – in ipotesi anche grazie all’impegno dei difensori – lo scopo deflattivo prefissato dal legislatore, manifestando in tal modo una palese irrazionalità. Tale esito risulta pregiudizievole non solo per la funzione della mediazione, vanificandone le finalità deflattive, ma anche per la giurisdizione che, a dispetto della sua natura sussidiaria rispetto alla mediazione stessa, finirebbe per essere strumentalizzata per obiettivi diversi dallo ius dicere, ciò che determinerebbe ulteriori irragionevoli ricadute di sistema per il sicuro aumento degli oneri a carico dello Stato, chiamato a sostenere anche i costi dello svolgimento del giudizio.
Si è ritenuto che fossero fondate anche le censure mosse dai remittenti quanto alla violazione degli agli artt. 3, secondo comma, e 24, terzo comma, Cost. Infatti, l’effettività del diritto ad agire e a difendersi
in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile, per il quale la Repubblica ai sensi dell’art. 3, secondo comma, Cost. ha il dovere di predisporre i mezzi necessari per garantire ai non abbienti le giuste chances di successo nelle liti, rimediando a un problema di asimmetrie – derivante dagli ostacoli di ordine economico che impediscono «di fatto» di compensare il difensore – e che non può trovare soluzione nell’ambito dell’eguaglianza solo formale, risulta vanificato dalla soluzione reiettiva della pretesa al compenso, non potendosi addurre a diversa giustificazione l’argomento dell’equilibrio di bilancio che deve recedere di fronte alla possibilità, per il legislatore, di intervenire, se del caso, a ridurre quelle spese che non rivestono il medesimo carattere di priorità. Pertanto, poiché, data l’espressa previsione dell’assistenza dell’avvocato in sede di mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010), è evidente che privare i non abbienti del patrocinio a spese dello Stato significa destinarli di fatto a subire l’asimmetria rispetto alla controparte abbiente in relazione a un procedimento che è direttamente imposto dalla legge e rientra nell’esercizio della funzione giudiziaria giacché condiziona l’esercizio del diritto di azione. Per effetto dell’intervento del giudice delle leggi sussiste il diritto alla liquidazione del compenso vantato dall’avvocato che abbia assistito la parte in una procedura di mediazione, ma sul presupposto indefettibile che la mediazione abbia carattere obbligatorio.
6. In considerazione dell’iter argomentativo della sentenza della Corte Costituzionale, reputa il Collegio
che un eventuale dubbio di costituzionalità, ma solo per il passato e cioè per fattispecie per le quali non sia destinata a trovare applicazione la novella del 2022, potrebbe porsi solo per l’assistenza offerta da un legale in una procedura di negoziazione assistita cd. obbligatoria, e che viceversa debba essere escluso nel caso di negoziazione assistita facoltativa quale quella oggetto del presente giudizio. E’ proprio la scelta di condizionare l’accesso alla tutela giurisdizionale al previo esperimento di un rimedio stragiudiziale, quale può essere la mediazione ovvero la negoziazione assistita che implica, nella parte in cui si nega il diritto al compenso a carico dello Stato per il difensore della parte non abbiente, la violazione delle norme costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost. nei termini indicati dalla Consulta, e che di converso la scelta di escludere analoga estensione anche alle procedure aventi carattere facoltativo rientri nella discrezionalità del legislatore, non suscettibile di sindacato. In tal
stata in concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda, e ciò perché in tal modo
patrocinio risulta contraddittoriamente escluso proprio nei casi in cui il procedimento de quo
senso rileva proprio il fatto che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, il giudice delle leggi ha del resto spesso rimarcato la necessità di individuare un «punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia (Corte Cost. sentt. nn. 16 del 2018, 35 del 2019 e 47 del 2020). In particolare Corte Costituzionale n. 47 del 2020, con il richiamo alla discrezionalità del legislatore e alla scarsità delle risorse, ha ritenuto giustificata la previsione del filtro disciplinato dall’art. 74, comma 2, d.p.r. n. 115/2002, legato alla non manifesta infondatezza delle ragioni dell’aspirante beneficiario al patrocinio a spese dello Stato per tutti i processi diversi da quello penale (civile, amministrativo, contabile, tributario e di volontaria giurisdizione), evidenziando «la pacifica riconducibilità dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato alla disciplina processuale nella cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate». Le valutazioni di ordine economico non possono però legittimare il diniego di spese costituzionalmente necessarie, inerenti «all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili», tali potendosi reputare, alla luce del ragionamento del giudice delle leggi, solo quelle che siano funzionali a procedure imposte come condizioni obbligatorie di procedibilità per l’accesso alla tutela giurisdizionale. Deve quindi affermarsi che, nel caso dei procedimenti facoltativi, che per loro natura non condizionano l’accesso alla tutela giurisdizionale (e di conseguenza al patrocinio a spese dello Stato), sfuma il nesso di strumentalità con il processo ex art. 75 d.p.r. n. 115/2002, e pertanto la loro disciplina in punto di spese ricade nella sfera
discrezionale in materia processuale del legislatore, destinata nuovamente ad ampliarsi quando
preservato il nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale. Né infine appare configurabile una pretesa disparità di trattamento rispetto alla disciplina dettata dal legislatore nazionale con la quale è stata data attuazione alla direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere, attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie, atteso che il D. Lgs. 27/05/2005, n. 116, all’art. 10, dedicato ai procedimenti stragiudiziali, in linea con quanto si ricava dalla sentenza della Corte Costituzionale, afferma che “1. Il patrocinio è, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l'uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa.”.
7. Il ricorso deve quindi essere rigettato. Tuttavia, attesa la novità della questione affrontata e la obiettiva complessità della stessa, avuto riguardo anche ai recenti interventi del giudice delle leggi e del legislatore nazionale, si ritiene che ricorrano i presupposti per compensare le spese del presente giudizio. 8. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio; Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R.
n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^